Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:30 am
Si chiama Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima. È stato realizzato dal ministero dello Sviluppo Economico, insieme al ministero dell’Ambiente e a quello delle Infrastrutture, e si colloca nel cosiddetto «Green Deal» europeo. Peccato, però, che più che verde, il colore prevalente in questo ambizioso progetto rischia di essere il grigio antracite di pannelli fotovoltaici disseminati su vasta scala. L’Unione Europea, infatti, chiede all’Italia di raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. Tra questi anche il raddoppio degli impianti fotovoltaici, che dovrebbero passare da una produzione annuale di 20mila a 52mila MW.
Addio verdi colline
Sorge allora un quesito retorico: dove andrebbero posizionate le nuove distese di impianti fotovoltaici? Sui campi, è ovvio, visto che il 40% di quelli da inaugurare, rileva IlSole24Ore, avrebbero bisogno di essere installati a terra. Il sillogismo è dunque presto detto: si sacrifica il verde dei campi, nonché la bellezza naturalistica, in ragione del grigio di pannelli fotovoltaici. Il tutto in nome dell’ambiente. Il cortocircuito viene sistematicamente denunciato dagli agricoltori italiani. Una polemica in tal senso è deflagrata nei mesi scorsi nel Piacentino.
Allarme degli agricoltori
Qui il Comune di Cadeo porta avanti da anni un maxi-progetto di parco fotovoltaico grande tredici ettari di terreno agricolo su un’area di proprietà di un’opera religiosa. Una superficie enorme, che potrebbe essere utilizzata per la coltivazione di frumento, in un periodo storico in cui cresce la domanda di pasta prodotta con grano tutto italiano. «Stupisce che non siano state rilevate problematiche ambientali per una proposta che fa perdere definitivamente e di netto una superficie pari a 17 campi da calcio di terreno fertile per convertirlo in una distesa di pali e pannelli», tuona Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza.
Svolta green discutibile
Secondo Gasparini, «il problema, purtroppo, è sostanziale», perché «quel terreno, un tempo sede di cava, è stato riconvertito ad uso agricolo da almeno un decennio riacquistando la sua preziosa fertilità, che ora si rischia di perdere definitivamente». Di qui il suo affondo: «In un mondo dove andiamo a misurare quanto è larga un capezzagna, quanto liquame spandiamo per ettaro e che pressione ha la botte, questo progetto sembra certificare il modo miope di pensare la svolta green che rischia di escludere dal processo i principali artefici, da sempre, della tutela del paesaggio: gli agricoltori che se ne prendono cura da millenni attraverso la loro attività».
Consumo del suolo, in nome dell’ambiente
Ma la scomparsa del verde è un processo che, nel Belpaese, va avanti da tempo. Negli ultimi venticinque anni, sottolinea Coldiretti, in Italia è sparito il 28% della terra coltivata. Il fatto che oggi questo iter venga favorito da politiche eco-sostenibili risulta quantomeno curioso. La maggiore espansione di fotovoltaico si è registrata dal 2008 e il 2012, quando erano attivi incentivi statali. Ma è possibile produrre energia pulita senza deturpare il patrimonio agricolo? «Il punto centrale», dice su Altreconomia Alessandro Bonifazi, co-fondatore di Itera-Centro di ricerca per la sostenibilità e l’innovazione territoriale, «è che manca una pianificazione d’insieme che consideri gli impatti che questo nuovo trend sta avendo sull’agricoltura». Questa svolta green, insomma, rischia paradossalmente di disintegrare il verde.
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