Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:31 am
Italia e Spagna sono due Paesi simili. Lo sono anche nella normalizzazione di eutanasia e suicidio assistito.
Prescindendo dalla mancata comprensione della differenza tra i due concetti da parte della stragrande maggioranza della gente in entrambi i Paesi, le analogie sono significative e sorprendenti. Per esempio anche in Spagna, come in Italia, la chiave di volta di tutto è la sovraesposizione mediatica del “caso pietoso”.
Ai primi di aprile 2019 è balzata all’onore delle cronache la vicenda dei coniugi madrileni María José Carrasco e Ángel Hernández. Lei, anziana e invalida, voleva la cosiddetta «dolce morte» e il marito l’aveva accontentata porgendole un bicchiere di Pentobarbital, barbiturico ad azione rapida, con tanto di cannuccia. L’inquietante video in cui la signora Carrasco confermava la sua volontà di morire provocò un terremoto nell’opinione pubblica iberica e fece il giro del mondo. La donna morì il 3 aprile e il marito andò subito a costituirsi.
Combinazione, pochi giorni dopo, l’8 e il 9 aprile, si svolsero le rilevazioni di un sondaggio sull’eutanasia, commissionato dall’istituto specializzato Metroscopia, su 1922 cittadini spagnoli. Il risultato? Plebiscitario: l’87% degli intervistati riteneva che «un malato incurabile» abbia «diritto all’assistenza per porre fine alla sua vita senza dolore».
Era però in corso la campagna elettorale e il premier Socialista uscente, Pedro Sánchez, si giocava la rielezione in una chiamata alle urne molto particolare. Alla ricerca di una legittimazione popolare mancata con il primo mandato, corse sulla base di un programma tra le cui priorità figurava, guarda caso, proprio l’eutanasia. E la parola è stata mantenuta il 17 dicembre con l’approvazione del progetto di legge che, in un colpo solo, legalizza sia l’eutanasia sia il suicidio assistito (manca ancora soltanto il «sì» – ma pressoché scontato – del Senato) con pochissimi margini d’azione per l’obiezione di coscienza e nessun riconoscimento per le cure palliative.
In Italia le scelte sono invece comunque più mediate e anche i partiti più anticlericali devono in qualche modo trattare con le gerarchie ecclesiastiche, Eppure anche da noi si è puntato sulla storia-choc, quella famosa di Fabiano Antoniani (1977-2017) noto come «Dj Fabo», per smuovere l’opinione pubblica e indurre la Consulta costituzionale a pronunciarsi. Ulteriore analogia: anche in Italia al “caso umano”, seppure a scoppio ritardato, è stato fatto seguire il rilevamento demoscopico. Per la precisione il sondaggio di SWG, effettuato tra il 27 e il 30 settembre 2019: pochissimi giorni dopo arrivava puntuale la sentenza della Corte costituzionale, emessa il 25 settembre. Anche in Italia, inutile dirlo, il favor mortis era risultato plebiscitario: il 92% si dichiarava favorevole a una legge che, «a determinate condizioni», consentisse l’eutanasia.
Quanta credibilità hanno però questi sondaggi a sfondo biopolitico? In primo luogo, la strategia propagandistica – il committente dell’indagine di SWG, giova ricordarlo, sono i Radicali – porta ad accorpare due categorie di risposte. Nel sondaggio del settembre 2019 in realtà, i «sì» secchi all’eutanasia sono soltanto il 45% (in calo, oltretutto, di 5 punti rispetto a un sondaggio analogo dell’anno precedente), ma questa percentuale viene sommata a un 47% di «sì, dipende dalle condizioni».
In una fase in cui il dibattito si infervora, o vi sono casi di cronaca particolarmente incisivi, è inevitabile che l’opinione pubblica tenda a polarizzarsi e la percentuale dei favorevoli si impenni. Ma ciò non implica, in ogni caso, che il campione di intervistati sia composto in maggioranza da persone particolarmente informate sull’argomento. Tutt’altro.
Sarebbe interessante, quindi, scoprire se la percentuale dei favorevoli – sia quella senza «se» e senza «ma», sia quella dei «sì» condizionati – rimarrebbe invariata nel caso in cui venisse mostrata l’atrocità di una morte provocata per esempio dal Pentobarbital. Oppure se fossero rese note le reali motivazioni alla base di molte richieste di eutanasia “per conto terzi”: eredità contese, dissapori familiari, e così via.
Per non parlare della stretta connessione tra spinte alla depenalizzazione e tagli alla Sanità: una dinamica, quest’ultima, tristemente radicata nel nostro Paese. E sarebbe ancora più interessante scoprire se tra i sostenitori, più o meno entusiasti, dell’eutanasia in Italia vi siano anche quelli che si stracciano le vesti per il rispetto dei lockdown o costernati per la morte da CoViD-19 di qualche centenario.
Commenti su questo articolo