Last updated on Maggio 15th, 2020 at 11:16 am
La Corte Suprema del Brasile si è espressa contro la possibilità di rendere l’aborto legale per le gestanti a cui venga diagnosticato il virus Zika. Il 24 aprile sette giudici su undici hanno votato contro un’azione legale, Ação direta de inconstitucionalidade n° 5581, presentata alla Corte dall’Associação Nacional de Defensores Públicos
La decisione riguarda una vicenda apertasi più di cinque anni fa, quando, in alcune zone settentrionali del Brasile, scoppiò l’infezione di Zika, un virus trasmesso principalmente tramite puntura di zanzara. L’epidemia cominciò nel 2015 e all’inizio nel Paese aumentarono i casi di bambini affetti da microcefalia, una malattia che comporta uno sviluppo della circonferenza cranica sotto la media. A causa dell’aumentare delle nascite di bambini microcefali si riaprì il dibattito sull’aborto, con il tentativo di alcuni attivisti di allargare le maglie della legge.
In Brasile l’aborto è illegale tranne che in alcune occasioni: in caso di stupro oppure se la vita della madre è in pericolo. Dal 2012, tuttavia, se il bambino soffre di anencefalia, quella malformazione congenita per cui il feto cresce ma l’encefalo e le ossa del cranio non si sviluppano parzialmente o totalmente, allora la madre può richiedere di abortire, previo assenso di un giudice. Questo perché l’anencefalia viene considerata una situazione incompatibile con la vita.
Poi l’arrivo di Zika e l’aumento di bambini microcefali hanno portato alcuni settori della società a scendere in piazza non solo per chiedere di includere la microcefalia tra le condizioni necessarie per accedere alle pratiche abortive, ma, in generale, per domandare la legalizzazione dell’aborto. Tuttavia diversi esperti hanno criticato il lavoro scientifico presentato nella causa ADI 5581, sottolineando come nessuno sia stato in grado di stabilire una relazione causale certa tra Zika e l’aumento di bambini microcefali.
I primi tentativi di legalizzare l’aborto per i casi di Zika risalgono del resto al 2016, quando il virus era poco conosciuto. Studi recenti condotti dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC) mostrano come, tra i feti delle madri infettate dal virus, solo in una percentuale compresa fra 5 e 14% si è sviluppata la microcefalia. Dall’altra parte, secondo analisi del CDC, circa il 73% dei laboratori brasiliani hanno un grado di precisione diagnostica di Zika molto basso.
Ciò non ha comunque impedito l’avvio di un imponente dibattito, che ha impegnato il Paese per anni. I vescovi cattolici brasiliani più volte hanno fatto sentire la propria voce, cercando di difendere il diritto inviolabile alla vita e sottolineando come la microcefalia non impedisca al soggetto di condurre la propria esistenza al pari di altre disabilità più o meno gravi. Sull’altro fronte si è invece assistito al dipanarsi di una dinamica già osservata altrove: gli alfieri dell’aborto ritengono che costringere una mamma a far nascere il proprio figlio e a curarlo rischi di comportare, per la donna, serie difficoltà mentali e fisiche. Legalizzare l’aborto, dunque, significherebbe rispettare il diritto della donna a proteggere la propria dignità e la propria integrità fisica ed emotiva. Una logica, questa, che non solo ritiene i “diritti” della donna superiori a quelli del figlio che ella porta in grembo, ma che proprio non tiene conto che l’aborto, da qualsiasi parte ci si schieri, riguarda sempre due soggetti: la madre e il figlio, dove è il secondo il soggetto indifeso e impossibilitato a scegliere.
Sui pronunciamenti della Corte Suprema non è possibile fare appello. Ciononostante, in diversi Paesi, al cambio dei componenti dell’alto organo giudiziario sono corrisposti veri e propri capovolgimenti della giurisprudenza che fino a quel momento aveva regolato il vivere comune, compreso quello dei soggetti più deboli.
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