Il proibizionismo non ha mai risolto il problema della criminalità e della sicurezza. Non per questo vale però la pena liberalizzare la droga, a partire dalla cannabis: si pone, infatti, un problema di salute personale e collettiva, da cui non si può prescindere. Ad affermarlo è Antonio Maria Costa, già vicesegretario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e direttore esecutivo dell’Ufficio dell’ONU contro la droga e il crimine.
Come il biologo Angelo Vescovi, il professor Costa interviene oggi al convegno Droga, le ragioni del no. Scienza, contrasto, prevenzione, recupero, promosso dal Centro Studi Rosario Livatino. «Tratterò i quattro punti del convegno in chiave internazionale, oltre alla situazione odierna della droga, dal lato sia dell’offerta sia della domanda sotto i profili agricoli (cannabis) e industriali (amfetamine), quali siano le nuove rotte del commercio, e così via».
Professor Costa, quali argomenti oppone a chi, al contrario di lei, vuole la legalizzazione o la depenalizzazione?
Mi rivolgo principalmente a questi ultimi. Per anni ho partecipato a dibattiti vivaci e interessanti, rispetto il punto di vista degli altri e constato che nell’altro fronte è presente una grande varietà di opinioni (droga legalizzata, liberalizzata, e così via). Io vorrei rammentare che la droga è in primo luogo un problema di salute. Sin da quando ho iniziato a lavorare alle Nazioni Unite, ho sempre approfondito questo concetto: chi consuma droga è una persona che necessita una terapia, fisica o psicologica che sia: più che un criminale da incarcerare, è un malato da curare. Su questo punto, chi è favorevole alla legalizzazione concorda con me.
E quali sono invece le sue conclusioni proibizioniste?
L’altra mia conclusione, che fa felice la controparte, è che le politiche antidroga, effettivamente, sono riuscite a tenere bassi i consumi degli stupefacenti, a livelli molto più bassi rispetto a sostanze legali come tabacco e alcool. Sebbene tra i giovani la droga sia consumata in percentuali più elevate, a livello di popolazione mondiale complessiva la percentuale dei consumatori varia dall’1 al 5%. Se però, da un lato, il proibizionismo aiuta a limitare i consumi, dall’altro rimane il problema della criminalità organizzata. Abbiamo, cioè, salvaguardato la salute, ma non la sicurezza.
L’Italia è stata incline, negli ultimi anni, a una certa depenalizzazione della cannabis: messa a confronto con le politiche di altri Paesi, che giudizio si può dare di questa linea?
Per me si tratta di un problema drammaticamente serio. Secondo il punto di vista “libertario”, lo Stato non avrebbe diritto di imporre condizioni ai consumi e alle abitudini personali. Come contro-osservazione, faccio notare che nessuno è autorizzato a guidare a 150 km/h, proprio perché quel comportamento avrebbe conseguenze negative. Se una persona consuma droga, sarà anche un fatto personale, ma se finisce all’ospedale, incapace di lavorare e di guadagnarsi un salario, la società dovrà pagarne le conseguenze. Quindi, se da un lato lo Stato non deve interferire nelle abitudini personali, le abitudini personali non possono interferire nel benessere degli altri. Quindi non è vero che lo Stato non debba intervenire mai.
E c’è anche un altro discorso, comunque: anche le sostanze legali come il tabacco o l’alcool non si possono acquistare o vendere al di fuori di certi parametri. Non può acquistare sigarette chi non ha compiuto 18 anni e non si può fumare al chiuso. Nemmeno gli alcolici possono essere acquistati dai minori. Entrambi i prodotti sono soggetti a percentuali altissime di fiscalità, in primo luogo per contenerne la domanda. Tanto è vero che, se da un lato c’è chi sta cercando di legalizzare la cannabis, c’è anche chi parla di contenere il consumo del tabacco. All’Organizzazione Mondiale della Sanità sono addirittura in corso dibattiti per stabilire una convenzione che proibisca il tabacco, essendo micidiale in termini di salute e costoso in termini di spese. Mi chiedo, dunque, perché liberalizzare delle sostanze, quando altre vengono sempre più contenute.
A livello pratico tutto questo come si traduce?
Sono da anni in corso campagne sulla prevenzione dal tabacco, mentre vedo pochissimo o nulla per ciò che riguarda la droga. Si può anche dire che lo Stato non abbia diritto a intervenire, ma non tutti i giovani hanno la forza di dire no alle droghe: per questo è fondamentale farli ragionare e introdurre programmi scolastici che illustrino le conseguenze nefaste degli stupefacenti. In Svezia, dove questo è avvenuto, il 75% dei giovani in età scolastica ha compreso che la cannabis è dannosa e soltanto il 10% di loro la consuma. In Italia, al contrario, soltanto il 18-20% dei giovani lo sa e circa il 30% di loro ne fa uso.
Come commenta la posizione di chi insiste nel distinguere tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”?
Ovviamente non sta né in cielo né in terra: tutti gli stupefacenti fanno male. Sì, non necessariamente il consumo di droghe porta alla tossicodipendenza, ma su alcuni individui le conseguenze sono più negative che su altri. Dunque è necessario proteggere tutti.
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