Nonostante le previsioni della vigilia profuse dai media e dalla Sinistra internazionali, che ne annunciavano la sconfitta, domenica in Ungheria il primo ministro Viktor Orbán, difensore della famiglia naturale, e il suo partito, Fidesz, hanno vinto con un margine enorme, letteralmente storico di voti, segno chiaro del gradimento degli elettori. Fidesz ha dunque irrobustito la propria compagine parlamentare nonostante la coalizione senza precedenti di partiti, messa in campo sotto le pressioni della Sinistra internazionale, abbia fatto di tutto per sconfiggere il partito e il premier.
L’Ungheria è un Paese piccolo ‒ meno di 10 milioni di abitanti ‒, ma esercita un’influenza grandissima e, sotto la guida di Orbán, è stato capace di fare la differenza, sullo scenario mondiale, nella difesa delle prerogative della famiglia naturale.
Nel dicembre 2020 il governo ungherese ha significativamente proposto, e i cittadini hanno approvato, un emendamento alla Costituzione nazionale che definisce la famiglia «basata sul matrimonio e sul rapporto genitori-figli», aggiungendo (paradossale serva farlo…) che «la madre è una donna, il padre è un uomo», incurante delle proteste dell’estremismo ideologico LGBT+.
Non a caso i gruppi dell’estremismo LGBT+ sono stati la vera chiave della campagna politica scatenata per cercare di battere Orbán alle elezioni di domenica, tanto che la sua vittoria, con margine più ampio del previsto, con tanto di aumento dei voti e della forza politica, configura una sconfitta cocente proprio per la lobby LGBT+.
L’Ungheria si è pure schierata fermamente a fianco dei credenti. Potrebbe essere persino l’unico Paese al mondo ad annoverare nel proprio governo un ministro incaricato della protezione dei cristiani perseguitati.
Da tempo l’International Organization for the Family (IOF), editore di «iFamNews», sottolinea le battaglie del partito Fidesz a favore del matrimonio eterosessuale, per l’affermazione della natura biologica della sessualità umana, del riconoscimento della complementarità fra i sessi e altre misure adottate a favore della famiglia e per la protezione dei minori. Nel 2017 lo IOF ha collaborato proattivamente con il primo ministro Orbán e con alti funzionari del suo governo, quali per esempio l’allora ministro della Famiglia, e oggi presidente della repubblica, Katalin Novák, nell’organizzazione del Congresso mondiale delle famiglie a Budapest, un evento, questo, che ha fattivamente dimostrato l’importantissimo lavoro svolto dal governo ungherese in questo settore strategico ponendolo sulla ribalta internazionale.
E l’Ungheria si è pure guadagnata l’inimicizia del suo cittadino più ricco, George Soros, che ha rivolto i propri strali sia contro Orbán sia contro lo IOF. Per tutta risposta, Orbán ha aumentato gli stanziamenti in programmi a favore della famiglia, sfidando a tal punto l’avversario da costringere Soros a traslocare le proprie operazioni altrove, non senza nel frattempo scordarsi, Soros, di eleggere lo IOF a nemico principale.
Ma sempre in quel frattempo, il ministro Novak è diventata, appunto, la prima donna a sedere alla presidenza della repubblica ungherese.
Sorprende ben poco che il radicalismo LGBT+ e i suoi corifei nei media del mondo stiano cercando di occultare la nuova, enorme vittoria di Orbán sotto il tappeto. Volendo artatamente ignorare proprio le politiche a favore della famiglia che hanno animato la storica vittoria di domenica, la stampa sta del resto cercando di infangare i suoi protagonisti, ovvero gli elettori di Orbán, che rappresentano oltre i due terzi del Paese, dipingendoli fantasiosamente come meri strumenti nelle mani del presidente russo Vladimir Putin. Risibile, patetico, ingominioso.
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