Domenica il premier ungherese (non) uscente Viktor Orbán ha stravinto le elezioni. Ha conquistato il 53% dei voti, sbaragliando il candidato dell’opposizione, Péter Márki-Zay, che ha ottenuto un magro 35%. Orbán si aggiudica così il quarto mandato consecutivo in modo perfettamente democratico e il suo partito Fidesz conserva in maniera perfettamente democratica la maggioranza dei due terzi del parlamento per la terza volta consecutiva. Insomma, cappotto a favore di chi, in Ungheria, mette il diritto alla vita umana nascente e la difesa della famiglia naturale al centro anche della politica.
Eppure il referendum, svoltosi sempre domenica contestualmente alle elezioni politiche, sulla difesa dei bambini da ogni molestia e da qualsiasi propaganda, compresa quella dell’ideologia LGBT+, non ha nemmeno raggiunto il quorum.
Il referendum era stato fortemente voluto, anzi addirittura indetto dal governo Orbán per blindare, nel crogiuolo della consultazione popolare democratica, la buona legge voluta dal parlamento nel giugno 2021, ma fortemente invece osteggiata dalle forze ideologiche liberal e dall’Unione Europea. Quindi com’è possibile che la stragrande maggioranza degli ungheresi abbia votato per il governo pro-family di Orbán per la quarta volta consecutiva, per il parlamento pro-family guidato da Fidesz per la terza volta consecutiva, (pochi giorni fa) per l’ex ministro pro-family di Fidesz, Katalin Novák alla presidenza della repubblica e al contempo bocciato il referendum smaccatamente pro-family voluto da quello stesso governo e da quella stessa forza politica? Schizofrenia ungherese? Niente affatto.
Infatti il referendum sulla buona legge a difesa dei minori voluto dal governo Orbán e da Fidesz, cioè dal governo ungherese, per dare al popolo ungherese la libertà di decidere democraticamente di quella stessa buona legge votata dal parlamento ungherese ha vinto. I numeri, diffusi dall’Ufficio elettorale nazionale ungherese, e disponibile comodamente persino in lingua inglese, lo dimostrano nettamente.
Alla domanda se consentire che i bimbi allievi delle scuole pubbliche possano partecipare a lezioni di orientamento sessuale senza il consenso dei genitori, il 92,34% dei votanti ungheresi che domenica hanno espresso voti validi ha risposto «no». Alla domanda se fornire ai bimbi informazioni sulle pratiche per la riassegnazione del genere sessuale, il 95,89% ha risposto «no». Alla domanda se proporre ai minori, senza restrizioni, contenuti mass-mediatici di natura sessuale che ne possano influenzare lo sviluppo, il 95,32% ha risposto «no». Alla domanda se fornire ai minori contenuti mass-mediatici che trattino la riassegnazione del genere sessuale, il 95,17% ha risposto «no».
95 e rotti per cento. La quasi totalità. Dov’è, dunque, la sconfitta? Ma di questo i media non parlano. Oscurano. Censurano.
Il voto referendario di domenica ha evidenziato due costanti parallele. Il 95% di «no» tra i voti validi e il 20% di voti invalidanti: 20,08 d’invalidi al primo quesito, 20,45 al secondo, 20,55 al terzo e 20,57 al quarto. Molto, molto più di quattro volte meno dei voti ungheresi validi e negativi espressi in tutti e quattro i quesiti a favore dei minori ha reso il referendum nullo per essere validato, infatti, il referendum abbisognava che almeno il 50% dei voti espressi fossero validi ma quel piccolo 20% lo ha impedito.
I media parlano solo di quella minoranza ignorando la maggioranza che ha detto «no» e la chiamano democrazia.
Ora, cosa sia quel 20% costante lo ha spiegato la Reuters nei giorni precedenti il voto. Un gruppo di organizzazioni per i diritti umani, cioè un gruppo di quelle organizzazioni che ritengono essere un diritto umano il bombardare parossisticamente i minori indifesi nelle scuole gestite dallo Stato con l’ideologia gender/LGBT+ all’insegna del mutamento del gender, della riassegnazione del sesso e della «fluidità», con tanto di disegnini, immagini e filmati, ha svolto una massiccia campagna propagandistica mirante non a sostenere le ragioni contrarie a quelle sostenute dal governo Orbán e dal parlamento ungherese, come ci si sarebbe aspettati in democrazia e come sarebbe stato legittimo, bensì proprio a zittire la democrazia.
Energie e denari sono cioè stati spesi per invalidare il referendum, per non far parlare gli ungheresi e per soffocarne la voce qualora lo avessero fatto. La propaganda di quelle Ong non ha cioè invitato gli elettori ungheresi a sostenere le proprie ragioni, bensì a far cadere la catena della bicicletta barrando entrambe le caselle sulla scheda referendaria, tanto il «sì» quanto il «no», onde sottrarre, con un artificio, la questione, una questione fondamentale per la convivenza umana e per il bene comune, al giudizio dei cittadini.
Non è difficile immaginare che quelle Ong possano pure essere state eterodirette (su questo varrà la pena di indagare): quel che è invece lampante è che siano ricche di denari, forse persino più del governo ungherese, che infatti è stato battuto soltanto sul terreno della propaganda censoria.
Come sempre nelle elezioni, e come insegnano sempre i maestri della comunicazione politica, è sufficiente spostare fette piccole, davvero piccole di elettorato, per produrre effetti che la lente d’ingrandimento delle proiezioni sui grandi numeri stile ombre cinesi, e la grancassa dei media compiacenti, ingigantisce a dismisura, oscurando colpevolmente quella realtà dei fatti che si chiama verità delle cose.
Ora, la piccola fetta di elettorato ungherese di domenica, aizzata da chi considera un “diritto” assaltare i bambini con immagini e contenuti e pensieri violenti e lesivi, ha fatto la differenza, una differenza piccola che ha proiettato sulla parete un mostro grande e annichilito la stragrande maggioranza del parere democratico e libero degli ungheresi che, credendo nel confronto maschio e democratico, hanno votato da gentiluomini, cioè validamente. Un sotterfugio ha zittito, cioè, la democrazia.
Non è democrazia, infatti, sottrarre una questione tanto importante al confronto. Non è democrazia cancellare la libertà di espressione della maggioranza dei voti validi. Non è democrazia dire di avere vinto, se si invece si è soltanto abbandonato il campo nel mezzo di un puzzo insopportabile di vigliaccheria.
Il premier Orbán viene spesso accusato, a sproposito, di non democraticità. È così antidemocratico che ha persino posto ai voti dei cittadini una legge del parlamento, con un gesto che, culturalmente, equivale all’avere posto la questione di fiducia popolare sul proprio governo. E quindi sarebbero allora democratici coloro che, per paura di una sconfitta evidente, si portano addirittura a casa il pallone da gioco?
In realtà, in Ungheria hanno vinto gli ungheresi democratici che hanno votato «no» alle scempiaggini dei liberal contro i minori e la censura dei liberal antidemocratici.