Last updated on marzo 11th, 2021 at 01:44 pm
Nel mondo cosiddetto democratico non abbiano ancora cominciato a lamentarci seriamente per le limitazioni al culto religioso causate dalle decisioni anti-CoViD-19. Bisognerà farlo in modo netto e intelligente, ma non senza dimenticare che le violazioni della libertà religiosa possono assumere ben altri e violenti volti. Succede quotidianamente in molte parti del mondo, fra cui il Pakistan.
Il Pakistan è un Paese a maggioranza musulmana sunnita dove però vivono diverse minoranze religiose, le più vaste, numericamente, delle quali sono l’induismo e il cristianesimo. Discriminazioni e persecuzioni sono all’ordine del giorno, e vittime ne sono persino minoranze islamiche come gli Ahmadiyya, che il resto dei musulmani considera eretici e disprezza.
Ora, in Pakistan vige una legge particolarmente antipatica: la legge sulla blasfemia, entrata in vigore dal 1986 e regolamentata dall’articolo 295c del Codice penale. Arriva persino a comminare la pena di morte e la sua pericolosità estrema è data dal fatto che l’accusatore non ha l’onere di provare ciò che afferma. La legge serve così per colpire le minoranze e comunque gli avversari, saldando assieme persecuzione religiosa e regolamento di conti personali in un disegno criminale e in una spirale perversa che terrorizza la popolazione.
Clamoroso è stato il caso di Asia Bibi, la giovane contadina cattolica accusata ingiustamente nel 2010, in seguito a un alterco, di avere bestemmiato l’islam da chi appunto non ha mai avuto bisogno di provare le proprie accuse e tenuta sotto costante minaccia di morte per anni, salvo poi essere prosciolta dalla Corte suprema del Paese nel 2018. Da allora vive però nel terrore delle frange più estremiste, che non si rassegnano alla sentenza, ed è riparata in Canada con la famiglia.
Altrettanto clamoroso il caso del governatore del Punjab, Salmaan Taseer (1944-2011), musulmano, assassinato per avere difeso Asia Bibi. Il suo assassino, Mumtaz Qadri (1985-2016), è stato giustiziato, ma nel 2014 gli è stata intitolata una moschea a Islamabad, che presto ha dovuto ricorrere a una sottoscrizione popolare per acquisire fondi onde ampliare la propria capacità, visto l’afflusso record di fedeli.
Il terzo caso, sempre più clamoroso, è quello di Clement Shahbaz Bhatti (1968-2011), cattolico, ministro per le Minoranze religiose, assassinato due mesi dopo Taseer proprio in odio alla sua opposizione alla legge sulla blasfemia. Martire della libertà religiosa, oggi è venerato dalla Chiesa cattolica come servo di Dio.
In questo quadro, le poche buone notizie provenienti dal Pakistan in tema di libertà religiosa vanno certamente salutate con grande gioia. Per esempio la notizia del rilascio su cauzione concesso dall’Alta Corte di Lahore a Nabeel Masih, cristiano. Il giovane era stato arrestato a 18 anni nel 2018, dopo che una folla lo aveva accusato di blasfemia per avere messo un «Mi piace» e condiviso su Facebook una foto della Kaaba della Mecca accusata di essere irrispettosa. Per quattro anni il giovane è rimasto in carcere con la prospettiva di scontarne un totale di 10 e ottenendo lo spiacevole record del più giovane condannato per blasfemia del Pakistan. Certo, ancora non è chiaro quando Masih sarà effettivamente liberato e cosa accadrà dopo, ma la notizia è finalmente buona.
Il quadro generale resta invece altamente preoccupante. Nel dicembre 2016, Amnesty International ha diffuso un rapporto per il periodo 2011-2015: è il più aggiornato e recente, essendo quell’arco di tempo il più ampio e il più recente per il quale sono disponibili i dati. Ebbene i casi di blasfemia ivi denunciati sono 1.296.
Sono trascorsi appunto quattro anni e la situazione non è certo migliorata. Per un Nabeel Masih benedettamente libero su cauzione, quanti altri innocenti vengono invece privati del primo diritto anche politico dell’essere umano, rischiando la morte?
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