Last updated on Maggio 12th, 2021 at 12:31 am
Provate a scrivere «nuova normalità» sul motore di ricerca di Google. Otterrete l’imponenza di 5milioni e 930mila risultati. Tra i primissimi apparirà anche una notizia Ansa del 14 aprile il cui titolo è una dichiarazione eloquente del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Presto approderemo a una nuova normalità». Ma cos’è precisamente la «nuova normalità», espressione tanto inflazionata quanto vaga dell’era della pandemia? È una sorta di oscurità programmatica, di impenetrabilità assurta a canone: tutti ne parlano come di un destino ineluttabile, ma pochi – almeno tra le persone comuni – riescono a spiegare in cosa consista. Forse nell’anticamera della «nuova normalità» ci siamo già dentro, siamo ingabbiati in un intricato budello di prassi e norme statuali che prelude un futuro distopico.
Il «Manifesto»
È questo l’allarme lanciato dal «Manifesto contro la “nuova normalità”» su Atlantico Quotidiano del 5 maggio scorso. L’idea di far esplodere un dissenso intellettuale allo status quo è dei giuristi romani Marco Proietti e Andrea Venanzoni. Oltre a loro due, nel comitato promotore figurano personalità come Pietrangelo Buttafuoco, Daniele Capezzone, Luigi Curini, Corrado Ocone, Federico Punzi. Una frase del «Manifesto» condensa lo scenario in cui la «nuova normalità» si impone: «Una società livellata, misurata, ipercontrollata, ove ogni minimo sussulto di autodeterminazione è destinato inevitabilmente a finire sul taccuino dei cattivi». Una società che assume il retrogusto amaro, amarissimo di uno Stato etico 2.0.
Il «rischio zero»
E così, in nome di quello che gli autori definiscono il «pandemicamente corretto», un nuovo Leviatano si arroga il dovere di condurre i cittadini verso la chimera del «rischio zero», come se questa – osservano gli autori – «fosse una ipotesi praticabile». Al contrario, essi rilevano che il rischio è «parte essenziale e integrante dell’esistenza umana e dello stare in società». Pertanto, continuano, «“Covid zero” come “rischio zero” sono formule nel migliore dei casi del tutto insensate e vuote, nel peggiore al contrario sottendono dinamiche e dispositivi di limitazione della socialità e di controllo diffuso». In questa prospettiva, il potere pubblico diventa sempre più «pervasivo, innervato nei gangli più profondi della nostra esistenza».
Una nuova tirannia?
Ecco allora cos’è, secondo gli autori del «Manifesto», questa «nuova normalità»: è «una quotidianità intessuta di concessioni, autorizzazioni, visti, controlli, delazioni, segnalazioni, un ritorno epocale a secoli passati, non un balzo in avanti». Essi denunciano che siamo di fronte non a una opportunità ma a una «tirannia, con uno Stato che ci dice cosa fare, come comportarci, dove andare e dove al contrario non poter andare». I suoi sacerdoti possono pure infiocchettarla di smielate narrazioni, ma «una tirannia rimane pur sempre una tirannia», tuonano gli autori del «Manifesto».
I dieci punti
Di qui dieci la scelta di redigere dieci punti per riaffermare «la libertà individuale e collettiva, il primato della persona sullo Stato». Rivolto a tutti coloro che vengono definiti «uomini liberi», il «Manifesto» reclama, nel punto 5, «che lo Stato torni nel suo perimetro, senza esondare e senza rendersi occhio che tutto scruta, spesso per la interposta persona di un frainteso senso di cittadinanza attiva».
Non solo. Tra le richieste spicca, nel punto 6, quella di bandire l’utilizzo di lemmi che «quando usati stroncano, novelli ipse dixit, qualunque discorso». La mente corre alla definizione di «negazionista» affibbiata con spregio a chiunque osi criticare la narrazione diffusa sul CoVID-19 e sulle sue misure di contenimento. Del resto la ghettizzazione culturale del dissenso è metodo totalitario, mentre «rispetto e simmetria nei discorsi pubblici» sono la base di una società libera. Quella libertà che il «Manifesto contro la nuova normalità» vuole riaffermare oggi, prima che ne restino soltanto le malinconiche vestigia domani.
Per sottoscrivere il «Manifesto»: [email protected]
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