Last updated on Ottobre 28th, 2021 at 05:30 am
Dal 2016 Jim Banks, classe 1979, del Partito Repubblicano, rappresenta lo Stato dell’Indiana nel Congresso federale di Washington.
Dal 2021 Richard L. Levine, classe 1957, rampollo di Harvard, pediatra, docente universitario, padre di due figli avuti dalla moglie da cui ha divorziato nel 2013, è il sottosegretario della Salute dell’Amministrazione Biden, ma dal 2011 si sente donna e quindi si fa chiamare «Rachel».
Messaggiando su Twitter, l’on. Banks lo ha scritto: ha scritto che il sottosegretario Levine è un uomo. Mica poteva scrivere che 2 più 2 è uguale a 5.
Ma Twitter ha sospeso l’account ufficiale di deputato dell’on. Banks per avere «violato i termini di servizio» del noto social. Evidentemente per Twitter 2 più 2 fa infatti 5. Secondo Twitter, l’on. Banks avrebbe infatti dovuto dire che il sottosegretario Levine è donna. Non perché il sottosegretario Levine sia donna, il primo a saper benissimo che è uomo è proprio Twitter, ma perché così il sottosegretario Levine vuole. Decisione sacrosanta.
Sacrosanta, sì. Twitter è infatti un’azienda privata. Offre un servizio e gli utenti che desiderano sfruttarlo debbono sottostare a certe regole. Come ovunque.
Se quindi Twitter sceglie di negare l’evidenza, di arrampicarsi sugli specchi, di mistificare la realtà, di inginocchiarsi al falso, di compiacere le bugie, di camminare a testa in giù e di accontentare i terrapiattisti, dentro il proprio recinto può legittimamente farlo. Ma lì il potere di Twitter finisce.
Perché Twitter non si muove in un vuoto eterno e senza confini di cui è l’abitante unico. Twitter si muove in una realtà più grande di Twitter che ha regole e dunque Twitter deve sottostare alle regole di quella realtà più grande che ha regole più grandi delle regole di Twitter. Vale per Twitter, vale per tutti. Nella mia stanzetta posso infatti sognare di essere Jeeg robot d’acciaio, ma se, credendolo, io mi lanciassi dalla finestra della mia stanzetta che si affaccia su un mondo più grande fatto di regole più grandi di quelle che ho fissato io per la mia stanzetta, mi sfracellerei inevitabilmente al suolo.
Proprio perché esiste uno spazio non vuoto abitato da altri Twitter è del resto in grado di offrire il proprio servizio. Proprio perché esistono regole più grandi delle regole di Twitter, Twitter può porre regole particolari al proprio spazio più piccolo della realtà intera, dormendo sonni tranquilli. Come farebbe, infatti, a offrire un servizio se dovesse vivere in uno spazio in cui le regole cambiano con il tempo meteorologico o con le ubbie della gente? Il rapporto di fiducia tra fornitore e utente basato su una fiducia previa alla realtà di cui Twitter fa, come tutti, ampio uso, anche per porre regole proprie, si disintegrerebbe assieme a Twitter stesso. Se le regole del mondo più grande di Twitter in cui Twitter, volente o nolente, come tutti abita e si muove non fosso certo, se la truffa valesse come l’onestà e la menzogna come la verità, come farebbe Twitter?
Twitter è sì uno spazio privato, ha le proprie regole, ma queste regole non possono contraddire le regole di quel mondo più ampio di Twitter dentro cui Twitter prospera. Non perché non piace ad «iFamNews» o all’on. Banks, ma perché non è possibile. La realtà ha regole che non si possono ignorare. Le cose sono come sono e nessuna rivoluzione riesce mai a distruggerle fino in fondo. Un uomo è un uomo, una donna è una donna e il sottosegretario Levine è uomo anche se pensa di essere donna. Più che bella, questa regola è ineliminabile. Twitter se ne faccia una ragione. Non è un «termine di servizio» che possa cambiare la realtà delle cose. Sospenda pure tutti gli account che vuole, ma la realtà non cambia con un tweet. È qui che lo strapotere Big Tech s’infrange contro il candore con cui un bimbo apre la bocca per dire «mamma» e «papà».