Last updated on Settembre 25th, 2020 at 01:42 am
«Il presidente più pro life che gli Stati Uniti d’America abbiano avuto». Così suor Deirdre Byrne, delle Piccole operaie del sacro Cuore di Gesù e Maria, ha definito Donald J. Trump, intervenendo alla Convention Repubblicana che, due settimane fa, ha ufficialmente rilanciato il tycoon prestato alla politica verso le elezioni del 3 novembre. Un endorsement inaspettato e politicamente scorretto, non solo perché arriva da una suora, e da una suora che ben risponde all’immaginario tradizionale del ruolo: abito scuro, capelli raccolti sotto il velo e una vita intera dedicata al servizio dei fratelli. È politicamente scorretto soprattutto perché tocca un tema decisamente politico ma serenamente ignorato dalla maggior parte del mondo politico e mediatico italiano ed europeo: la difesa della vita.
Vita che il presidente uscente e ricandidato ha posto al centro della propria agenda politica nei quattro anni della sua presidenza, a partire da quel suo importante ma ignorato articolo-manifesto pubblicato il 23 gennaio 2016 ancora in campagna elettorale.
Lo ha del resto ricordato Trump stesso, attraverso una lettera inviata alle associazioni pro life, per annunciare una delle sfide maggiori in caso di rielezione: smantellare la famigerata Planned Parenthood, privandola completamente dei contributi statali.
Donald Trump vs. Planned Parenthood
Questa inimicizia è atavica. Ai comizi di Hillary Clinton del 2016 intervenivano normalmente i vertici della Planned Parenthood, che non si sono mai fermati alle parole: per sostenere la campagna elettorale della pasionaria Democratica hanno infatti investito ben 30 milioni di dollari. Ma cos’è la Planned Parenthood? Un colosso di morte.
Un colosso, perché dietro questa sigla ci sono circa 60 imprese, che gestiscono oltre 600 cliniche negli Stati Uniti. Un colosso, ancora, perché gode di finanziamenti pari a mezzo miliardo di dollari all’anno. Di morte, perché in queste cliniche si praticano aborti senza soluzione di continuità, con modalità sempre più aggressive. Proprio da Planned Parenthood viene, da anni, la proposta del «partial birth abortion», tecnica che prevede l’aspirazione del cervello del bambino facendolo in parte uscire dall’utero materno, e questo per non danneggiarne organi e tessuti.
Quattro anni pro-life
Trump promette pure di firmare una nuova legge per i born-alive, i bambini che nascono sopravvivendo all’aborto. Per legge dovranno ricevere tutte le cure mediche necessarie ad essere salvati. Del resto capita non infrequentemente. E basta riascoltare la testimonianza di Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto salino praticato in una clinica della Planned Parenthood, per comprendere l’urgenza di questo provvedimento.
Poi c’è la promulgazione del «Protecting Life in Global Health Assistance», che impedisce ai finanziamenti dei contribuenti americani di finire nelle tasche di associazioni straniere che operano per diffondere l’aborto.
Su questa stessa lunghezza d’onda stanno anche le modifiche applicate al “Title X Family Planning Program” con cui, dal 1970, lo Stato riesce anche a garantire la “pianificazione familiare” ai cittadini meno abbienti. Ora, per ottenere contributi economici, le associazioni statunitensi devono separare nettamente la propria attività filoabortista dalle altre, che possono essere di assistenza medica o di natura educativa. Si tratta di un punto notevole, che colpisce al cuore la strategia con cui la Planned Parenthood ha sempre spacciato l’aborto per assistenza medico-sanitaria giocando nell’ambiguo, tant’è che la Planned Parenthood, pur di non rinunciare all’aborto, ha deciso di rinunciare ai finanziamenti previsti dal “Titolo X”. Purtroppo si è però trattato solo di una perdita limitata: 60 milioni di dollari, a fronte del mezzo miliardo all’anno che ancora riceve.
Uno per tutti, tutti contro Trump
Ora, Trump fa tutto questo per motivi elettorali? Può darsi. Certo è che sono ben altre le battaglie che gli garantirebbero l’appoggio della stampa mainstream, stampa che ancora oggi parla del nettissimo vantaggio di cui gode il suo avversario democratico, Joe Biden, in tutti i sondaggi. Ma era così anche quattro anni fa con Hillary Clinton.
Del resto la stampa, pur di affossare Trump fra le menzogne, riscopre la vecchia accusa di fomentare le guerre che viene regolarmente gettata addosso a qualsiasi uomo politico conservatore e Repubblicano, qualunque sia in realtà la sua posizione in materia, e dimenticando disinvoltamente quanto guerrafondai siano invece stati i presidenti statunitensi Democratici e liberal. Per farlo oggi ignora le stesse parole esplicite di Trump: «Non dico che i militari mi amino. Lo fanno i soldati, ma le persone più importanti del Pentagono probabilmente no perché non vogliono fare altro che combattere guerre così che tutte quelle meravigliose aziende che fabbricano bombe e aerei e tutto il resto siano contente».
Parole inedite per un presidente degli Stati Uniti, impensabili anche per chi, occupando la stessa poltrona di Trump, ha vinto il Nobel per la Pace (leggi Barack Obama, e il mondo si sta ancora domandando perché). E chissà che proprio queste parole, assieme allo storico accordo fatto firmare a Israele ed Emirati Arabi Uniti, non abbiano ispirato Christian Tybring-Gjedde, parlamentare norvegese, a candidare Trump al Nobel per la Pace 2021.
Più che i fuochi d’artificio sulla Casa Bianca, strappo alla regola in regola con gli eccessi cui Trump ha abituato tutti, nel bene come nel male, il suggello migliore restano le parole-perle di suor Deirdre: «Come medico, posso dire senza esitazione: la vita inizia al concepimento. Ora, quello che voglio dire può risultare ostico per alcuni, ma lo dico perché io non sono solo pro-vita, ma sono anche pro-vita eterna. Mi piacerebbe che tutti noi ci ritrovassimo un giorno in Paradiso».
Negli Stati Uniti, il 3 novembre, non si scontreranno due candidati presidenziali o due partiti. Si scontreranno due opposte concezioni del mondo.
Commenti su questo articolo