Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:07 pm
Può la scelta di mettere al mondo un figlio dipendere da una somma di denaro che se ne riceva in cambio? Evidentemente no. Anche qualora la mancanza di tale somma impedisse di allevarlo e nutrirlo e curarlo e mandarlo a scuola in modo dignitoso?
Non sono questioni di lana caprina, queste, per le donne che hanno risposto allo studio riportato da The Guardian e realizzato dal British Pregnancy Advisory Service (BPAS), che si definisce «the UK’s leading abortion care service», vale a dire il principale servizio di assistenza all’aborto del Regno Unito, e che «si batte per le scelte riproduttive delle donne». Il BPAS propaganda, sul proprio sito Internet, l’aborto chirurgico, l’aborto farmacologico con «la pillola per posta» e la vasectomia (naturalmente per gli uomini), affermando di fornire servizi di alta qualità a prezzi accessibili e di sostenere, oltre a queste scelte, anche la salute femminile.
Sarà. Però l’articolo di The Guardian dice altro. Afferma che non di scelta si tratti, ma di obbligo e di ineluttabilità. Infatti la Two child limit policy, la normativa entrata in vigore nel 2015 in Gran Bretagna con i tagli al bilancio attuati quell’anno, stabilisce che il credito d’imposta di 2mila e 900 sterline per ciascun figlio, a far data dal 6 aprile 2017 si limiti a due bambini presenti in famiglia. Dal terzo in poi, per lui o per lei, nulla. Ciò metterebbe le famiglie, e in particolare le madri sole, nell’impossibilità di provvedere a un eventuale terzo figlio a meno di non “impoverire” i primi due, specie nella congiuntura economica e lavorativa di grave difficoltà causata dal dilagare dell’epidemia del CoVid-19. Tantissimi i “nuovi poveri”, tantissimi i nuclei familiari in balia della disoccupazione e dei sussidi statali.
L’impostazione dell’articolo di Polly Toynbee sul quotidiano che si autodefinisce la «principale voce liberal del mondo» verte tutta su questo punto: le donne britanniche, travolte dalla crisi, sono costrette loro malgrado a scegliere di abortire, di porre fine volontariamente a una terza gravidanza, a causa dei tagli al welfare destinato alle famiglie meno abbienti voluto negli anni passati dal Partito Conservatore, nello specifico dall’ex leader Iain Duncan Smith e dall’ex Cancelliere dello Scacchiere George Osborne, con l’intenzione di ridurre i costi e contemporaneamente far comprendere ai cittadini «scrocconi» che la scelta di fare un figlio ha un costo, e che questo costo non può essere sostenuto dai contribuenti tutti.
Addirittura viene evocata la famigerata «politica del figlio unico» di Deng Xiaoping (1904-1997) e del Partito Comunista Cinese, che è però cosa ben diversa di cui “iFamNews” ha dato conto più volte.
Tutto ciò per altro non dà alcuna risposta alle domande cui si è fatto cenno all’inizio. E a domande nuove: lo Stato ha il dovere di sostenere le famiglie e le donne in difficoltà? Ovviamente sì, in un’ottica di sussidiarietà. Lo Stato ha il diritto di chiedere alle donne di sacrificare la vita di un figlio in nome della prosperità degli altri? Ovviamente no, in nessun caso.
Ciò che continuamente sfugge all’analisi è la realtà dell’aborto come omicidio, e nonostante la disperazione di talune situazioni in qualche modo conforta leggere su LiveAction un articolo dai toni profondamente diversi a firma di Nancy Flanders. In Argentina e negli Stati Uniti d’America, due realtà assolutamente differenti, in contesti in cui la povertà però si rassomiglia, come tutte le povertà, le donne sostengono apertamente di non aver bisogno dell’aborto e soprattutto di voler esercitare il proprio diritto di scelta nel metterli al mondo, i propri figli, non nel sopprimerli.
I sostenitori dell’aborto nel Paese iberoamericano accusano le donne di irresponsabilità, laddove decidano di non interrompere la gravidanza nonostante le condizioni di vita finanziariamente precarie. Negli Stati Uniti la Planned Parenthood, ormai famigerata fabbrica di aborti, colloca l’86% delle proprie sedi nei quartieri urbani a basso reddito in cui si suppone pensino di cogliere la più abbondante “messe” per le proprie pratiche.
Ciò che accumuna tre realtà geopolitiche differenti, il Regno Unito in crisi a causa del CoVid-19 e forse pure della Brexit, l’Argentina in rovina economica del presidente abortista Alberto Fernández, gli Stati Uniti preda dell’incertezza in bilico fra Donald J. Trump e Joe Biden, è la voce delle donne: che non lo vogliono, l’aborto, che ritengono che i governi debbano aiutarle e appoggiarle, usare i denari per fornire beni e servizi, non prestazioni sanitarie gratuite per porre fine alla vita umana già germogliata nel loro grembo. Evviva.
Le donne, insomma, sono ovunque autenticamente pro-life.