Last updated on Ottobre 6th, 2021 at 03:02 am
A partire dal 13 settembre le scuole della Penisola hanno riaperto i battenti, con il corollario solito di polemiche consuete che ogni anno ripropongono questioni ricorrenti. Per esempio, si lamenta l’organico dei docenti solo parzialmente nominati, ancora alla fine del mese; la mancanza cronica di insegnanti di sostegno; le cosiddette “classi pollaio” troppo affollate; gli edifici scolastici talvolta vetusti.
Quest’anno si è aggiunta naturalmente la diatriba feroce che riguarda le norme anti-CoVid-19 e in special modo il Green Pass, no-vax contro pro-vax, tamponi sì, no, oppure forse, ma almeno gratuiti.
Per non privarsi di nulla, è giunta il 9 settembre, pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico, una sentenza, la numero 24414 delle Sezioni unite civili della Cassazione, che chiarisce, benché forse tale termine non sia di corretta applicazione, la questione del Crocifisso appeso nelle aule italiane. Nello specifico, le Sezioni si sono espresse in merito alla vicenda di un docente, dichiaratamente ateo, che non desiderava il simbolo religioso sul muro dell’aula in cui lavorava, laddove i suoi studenti, invece, nulla avevano da eccepire a che vi rimanesse.
Questione di lana caprina, o di ideologia purissima, ma tant’è.
Sia chiaro, da subito e a tutti: questa non è la difesa confessionale di un simbolo esclusivamente religioso, ancorché il Crocifisso sia, e certamente, simbolo della religione cattolica, che, per inciso, è pure stata sino al 1948 la religione ufficiale dello Stato in cui ci si trova, volenti o nolenti, a vivere. E tuttora è la religione cui appartiene la maggioranza degli italiani: il 74,6% (il totale dei credenti cristiani è pari al 79,26%), versus il 15,3% di atei o gnostici e il 5,1% di fedeli di religioni non cristiane, in base ai dati dello scorso biennio.
Questa è piuttosto la difesa della libertà religiosa tout court, che prevede fra l’altro la possibilità di esprimere il proprio credo anche attraverso simboli ben visibili e bene in vista.
È inoltre una constatazione completamente laica del fatto che la cultura italiana, quella tanto decantata e “spendibile” all’estero in termini di arte, musei, monumenti e perciò, in soldoni, turismo, è intrisa di simboli e di iconografia cattolici. Simboli e iconografia senza i quali palazzi pubblici e privati, piazze, chiese e gallerie sarebbero vuoti: niente santi, niente Madonne, niente bambinelli, niente di niente. Fa sorridere dover dire e ribadire, ma senza la religione cattolica, e senza la Chiesa che tanto ha contribuito a realizzare in termini di mecenatismo e spirito devozionale, non vi sarebbe nulla del meraviglioso Rinascimento italiano. Rinascimento per altro molto caro ai tanti, imbevuti di feroce Illuminismo, che ne hanno fatto e ne fanno una bandiera di progresso contro un Medioevo considerato a torto età buia, oscurantista, retrograda.
Vi sarebbe stata un’altra arte, allora, differente? Può darsi. Non per questo sarebbe una buona idea dare una mano di intonaco alla Cappella Sistina, alla Cappella degli Scrovegni, al Cenacolo, o prendere a picconate la Pietà Rondanini. Accontentiamoci di prendere atto del fatto che vengano nascoste le pudenda alla copia del David di Michelangelo esposto a Dubai…
Qualora, poi, considerazioni tanto semplici e banali non risultassero convincenti, è possibile affrontare la questione in punta di diritto, e prendere in esame proprio la sentenza di Cassazione e la scarsa, scarsissima chiarezza che ha portato nella vicenda del Crocifisso appeso in aula.
Fra bastone e carota, un colpo al cerchio e uno alla botte, dopo aver evidenziato come «l’obbligo di esposizione del crocifisso (art. 118 del r.d. n. 965/1924) si inserisca in un “quadro normativo fragile”», rendendolo di fatto non un obbligo bensì una possibilità, una scelta, insomma, «la Cassazione infatti sottolinea come la croce “descriv[a] anche uno dei tratti del patrimonio culturale italiano e rappresent[i] una storia e una tradizione di popolo”, richiamando “valori (la dignità umana, la pace, la fratellanza, l’amore verso il prossimo e la solidarietà) condivisibili, per il loro carattere universale, anche da chi non è credente”».
Inoltre, già la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza Lautsi c. Italia del 2011, ha affermato che «[…] lo Stato, qualsiasi decisione prenda circa i simboli religiosi, è in qualche modo ‘di parte’: e ciò sia quando li vieta, sia quando li include, sia quando ne impone uno solo per ragioni culturali e valoriali, compiendo, nel rispetto dei diritti e delle libertà individuali, valutazioni politiche di sua esclusiva pertinenza». La Corte di Strasburgo inoltre esprime un passo ulteriore, fatto proprio dalla Cassazione, che ribadisce come il Crocifisso sia «un simbolo essenzialmente passivo, perché non implica da parte del potenziale destinatario alcun atto, neppure implicito, di adesione ad esso».
Il che sarà pure un ragionamento un poco farisaico e che tutti vuole accontentare, comunque è veritiero: absit iniuria, se è un oggetto che sta lì immobile sul muro da duemila anni, che fastidio può dare?
Vi è però un “ma”: una volta appurato che in effetti appenderlo al muro non è obbligatorio secondo Costituzione (la dicitura r.d. dell’articolo 118 che si è citata significa infatti “regio decreto”, e la monarchia in Italia non vige più da tempo) e staccarlo dalla parete neppure, che fare? Decida il preside, perbacco!
Interpelli le parti, signor dirigente (si chiamano così, ora, i presidi), si informi, metta d’accordo scapoli e ammogliati come l’arbitro a calcetto, laici e religiosi, praticanti e mangiapreti, e decida, del resto ne ha facoltà, insieme al consiglio d’istituto, o di plesso, o di classe, o a uno dei numerosi organi collegiali che disciplinano la vita scolastica.
Non è difficile immaginare la confusione, la quantità di variabili e varianti possibili, i pareri e le idee, qualche sana contesa fra persone intelligenti di parere diverso e qualche atto di bullismo magari non troppo celato in caso di contrasto insanabile.
Quello che viene definito nella sentenza come «accomodamento ragionevole», il britannico «reasonable accomodation» che forse ad altre latitudini funzionerà pure, lascia purtroppo terreno di battaglia, e di conquista, da parte di chiunque.
Con un timore, neppure troppo flebile: che nella lotta fra Crocifisso sì e Crocifisso no, fra un muro semplice con la Croce e un muro addobbato come un altare sincretistico con i simboli delle religioni del mondo, di studenti e insegnanti, resti invece un muro bianco. Vuoto. Pure un poco sporco, con il buco del chiodo che reggeva il detestato simbolo che mai, negli anni, sarà riempito con lo stucco da un bidello di buona volontà. Vera sconfitta, non certo garanzia, della libertà religiosa.
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