Last updated on Febbraio 23rd, 2021 at 10:06 am
Oltre 100 persone sono state uccise nel mese di gennaio perché cristiane. È accaduto nella Repubblica Democratica del Congo, con il numero maggiore di omicidi registrato nelle province di Ituri e Nord Kivu, nell’Est del Paese. L’obiettivo dei terroristi islamisti è svelato da Illia Djadi, analista senior di Open Doors per la libertà di religione o di credo nell’Africa subsahariana: «Stabilire un “califfato” nella regione». A rivendicare tutti gli attentati che hanno portato alla morte di oltre 100 civili in 31 giorni è stato il gruppo terroristico Alliance for Democratic Forces (ADF).
Cellule del terrore
Si tratta di ciò che rimane del gruppo armato ugandese, che sognava di trasformare l’Uganda in una repubblica islamica. Nel 2004 l’ADF è stato sconfitto dall’esercito regolare ugandese, ma è sopravvissuto, trovando riparo nella Repubblica Democratica del Congo. Qui hanno subito una sconfitta quasi definitiva nel 2014, a seguito di un’operazione congiunta compiuta dagli eserciti di Congo e Uganda. Quasi definitiva, perché piccole cellule di combattenti sono sopravvissute, ben celate agli occhi degli osservatori internazionali, e hanno continuato a reclutare nuove energie, lanciando negli ultimi due anni una vera e propria offensiva con chiare mire espansionistiche. L’ADF, che si fa chiamare anche Muslim Defense International, attacca le comunità cristiane e di altre fedi da anni, uccidendo chi non si converte alla battaglia per un nuovo califfato.
Le Nazioni Unite in missione
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che il 6 gennaio scorso si è detto «scioccato dal massacro di civili, durante i recenti attacchi attribuiti alle Forze democratiche alleate (ADF) nei villaggi di Tingwe, Mwenda e Nzenga, vicino al territorio di Beni nella provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo», afferma che l’ADF «fa parte di una rete che parte dalla Libia e si estende fino al Sahel, nella regione del Lago Ciad, ed è presente anche in Mozambico».
Guterres ha rilanciato la presenza dei caschi blu delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo per sostenere l’esercito nazionale nella lotta all’ADF, ma gli estremisti continuano a espandersi. Formalmente non ci sono legami con lo Stato Islamico, ma l’ISIS definisce la Repubblica Democratica del Congo «Provincia centro-africana del califfato», rivendicando alcuni degli attentati messi a segno dal gruppo terroristico locale.
Dove l’ISIS può rinascere
I massacri dei civili innocenti sono la spia di movimenti sotterranei che percorrono tutta l’Africa Centrale, movimenti che certificano la piena vitalità dell’ISIS. Lo spiega ancora Djadi: «L’opera espansionistica dell’ADF è molto simile a ciò che stanno facendo gruppi come Boko Haram nel nord-est della Nigeria. L’ideologia, l’ordine del giorno è stabilire un “califfato” nella regione».
Nonostante la massiccia presenza di forze di pace dell’ONU, ricorda Djadi, i cristiani continuano a essere in pericolo, perché «il gruppo islamico radicale dell’ADF è ancora in grado di compiere uccisioni di massa di civili innocenti». Per questo Open Doors chiede che la comunità internazionale intervenga per riportare la pace nel Paese, proteggendo i cristiani e i tutti i civili che sono ormai potenziali obiettivi dei terroristi.
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