Viviamo tempi incredibili in cui la battaglia per la vita umana, dal concepimento alla morte naturale, sembra a un punto di svolta. Di questa battaglia il fulcro è l’anglosfera: mentre negli Stati Uniti d’America si attende il pronunciamento della Corte Suprema sull’aborto a livello federale, nel Regno Unito l’attenzione è focalizzata sul destino dei pazienti giudicati ‒ a torto o a ragione ‒ incurabili, ovvero sulle vite che molti medici, con cinismo agghiacciante, giudicano «futili».
Una di queste vite, giovanissime, che sta sul crinale del sacrificio in nome del «miglior interesse» è quella di Archie Battersbee. A favore del dodicenne londinese, vittima di un trauma cerebrale, gioca il precedente dell’Alta Corte di Londra, che nel 2019, autorizzò le cure a beneficio della piccola Tafida Raqeeb. Dopo il suo ricovero all’ospedale «Gaslini» di Genova, la bimba anglo-pakistana ha iniziato subito a migliorare e ora, dopo quasi tre anni, i suoi progressi sono sbalorditivi.
I genitori di Tafida, Mohammed Raqeeb e Shelina Begum, non si sono mai arresi e, dopo aver ottenuto quello che desideravano ‒ cioè le cure per la figlia ‒ non si sono fermati. Infatti la grande generosità ricevuta, in termini di assistenza sanitaria ma anche di affetto, sostegno morale e aiuti economici, andava in qualche modo restituita.
Aiutare i bambini a vivere
Mohammed e Shelina hanno quindi dato vita, a Londra, alla Tafida Raqeeb Foundation. Suo scopo statutario è aiutare i bambini che si trovino nelle medesime condizioni della figlia. Perché a tutti i bimbi colpiti da lesione cerebrale va data (a differenza di quanto avviene in molti ospedali pediatrici del Regno Unito) la «possibilità di continuare a vivere»: un messaggio forte e chiaro che Shelina Begum ha lanciato al mondo il 17 maggio, proprio in Italia, a Roma, durante la presentazione ufficiale della Tafida Raqeeb Foundation in Senato.
Shelina non ha né dubbi né mezzi termini: il Regno Unito è «carente di strutture di base atte ad accogliere i bambini colpiti da lesione cerebrale». Quindi è necessario sopperire diversamente, privatamente attraverso un’iniziativa che aiuti i piccoli malati, ma che pure metta in contatto fra loro i migliori specialisti in neurologia a livello internazionale. La patologia di cui soffre Tafida, così come quella che affligge Archie, necessita infatti di tempi molto lunghi, inconciliabili con la freatta di morte che anima molti. Ma, comunque sia, al netto dell’incertezza sul futuro di quei bimbi, offrire loro un trattamento che si prenda cura di loro vale sempre e comunque la pena.
Insignita del «Premio al coraggio» per iniziativa del senatore Simone Pillon, la piccola Tafida ha insomma trovato riparo e amici in Italia. E la mamma, Shelina, ad «iFamNews» dice che l’evento di lancio nel Senato è stato altamento significativo, così come davvero importante conoscerne il presidente, Maria Elisabetta Alberti Casellati: «È stato un privilegio essere stata invitata a conoscerla. Anche lei è una mamma e ha compreso i sacrifici che ho fatto per lanciare la Fondazione. Mi ha fatto un dono molto speciale, di grande significato, di cui farò tesoro».
L’insospettabile forza delle vite fragili
Il punto di svolta nell’attività della Tafida Raqeeb Foundation è ovviamente la campagna raccolta fondi. Inaugurata il 22 marzo, mira a raccogliere quanto necessario per allestire e avviare un centro riabilitativo neurologico in grado di ospitare almeno una ventina di piccoli pazienti, provenienti per lo più da famiglie povere. Per il progetto sono necessari 25 milioni di sterline e davvero chiunque può contribuire.
Lo spirito della Fondazione è peraltro netto: «Ogni bambino può avere la possibilità di affrontare quella malattia o quell’incidente che ne modifichino la condizione neurologica devastandone la vita», annuncia decisa la homepage. Perché c’è una forza nascosta in questi bambini così apparentemente fragili, un desiderio di vivere e di lottare che, a quanto pare, sfugge alla maggior parte dei medici e del personale sanitario, ma non ai loro genitori.
La mamma di Tafida dice che la Fondazione intitolata alla figlia vuole dare «voce a chi non ha voce». La solidarietà fra le famiglie unite nella e dalla sofferenza, sostenute da medici non pregiudiziali, poco burocrati e molto aperti alla vita, è solo il primo passo per sconfiggere la rassegnazione che la «cultura di morte» sta imponendo alla società in cui viviamo e ai suoi sistemi sanitari.