Last updated on Ottobre 11th, 2021 at 07:13 am
Heartbeat International, in italiano si direbbe “Batticuore”, è un’organizzazione che dichiaratamente aiuta le donne in difficoltà a non interrompere la gravidanza e i bambini che portano in grembo a nascere. Fornisce loro informazioni sulle conseguenze dell’aborto volontario, senza nascondere che si tratta di un omicidio e non di un diritto.
A OpenDemocracy, piattaforma web di proprietà della Open Society Foundation di George Soros, quell’impegno appare invece un’opera di disinformazione e lo attacca, definendolo «un grave rischio per le donne e la democrazia».
Dopo aver sguinzagliato in giro per il mondo alcune reporter che fingevano di essere in attesa di un figlio, ma senza fornire maggiori dettagli sulla metodologia d’inchiesta adottata, OpenDemocracy riporta alcune affermazioni attribuite agli operatori delle associazioni pro life, concludendo che i servizi offerti dal network di Heartbeat in 60 Paesi del mondo, attraverso 2.700 centri e l’operato di oltre 81mila volontari, procurano allarmi e paure ingiustificati.
Per accertarsi che l’accusa di diffondere fake news non sia essa stessa una fake news occorrerebbe che OpenDemocracy producesse qualche pezza d’appoggio, fondata sulle domande classiche del giornalismo anglosassone: chi, che cosa, dove, quando, perché? Nel servizio pubblicato non ve n’è invece traccia. Impossibile verificare, quindi, la correttezza delle notizie diffuse. Eppure, solo sulla base di tali lacune, alcuni parlamentari hanno protestato contro una presunta violazione dei diritti umani che sarebbe stata commessa nel tentativo di salvare vite umane.
In un altro caso riguardante un’inchiesta svolta con telecamere nascoste nel 2015, David Daleiden e Sandra Merritt hanno subìto una condanna penale per aver documentato la vendita di brandelli di feti umani da parte dell’organizzazione abortista Planned Parenthood in California. Gli imputati potranno certamente ricorrere in appello, ma si può legittimamente dubitare che, sull’altro versante, gli autori del servizio su Heartbeat andranno incontro alle stesse noie legali, pur avendo agito in maniera del tutto simile, mentendo sulla propria identità e sui propri scopi. Se ne può dedurre che combattere aborto e contraccezione sia diventata, se non ancora un reato vero e proprio, almeno un’aggravante nelle aule dei tribunali e un motivo di ostracismo politico nelle assemblee legislative? Per ora si è assistito soltanto a una levata di scudi da Bruxelles e Strasburgo da parte delle deputate Vera Tax, Hilde Vautmans, Sylvie Guillaume e Gwendoline Delbos-Corfield e dal loro collega Fred Matić, contro l’attività di Heartbeat.
Nulla, ancora, da parte di altri esponenti politici. I politici pro life sembrano scomparsi dal panorama. L’assenza di una voce chiara e netta in difesa della vita all’interno delle istituzioni comunitarie è però preoccupante e sta favorendo un clima di persecuzione nei confronti di chi si batte per affermare i diritti dei concepiti. Nel frattempo, il 30% delle gravidanze in Europa, fra il 2010 e il 2014, sono terminate con un aborto. Del resto, nel quadro globale, all’Organizzazione Mondiale della Sanità si preoccupano esclusivamente di consentirne la possibilità in condizioni sanitarie sicure, come elemento di “salute riproduttiva”, e ritengono gli obiettori di coscienza e le leggi restrittive responsabili di attentare alla vita delle donne. Siamo alle soglie di un’accusa di omicidio per chi non si rende complice di un delitto contro l’umanità.
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