Last updated on Dicembre 19th, 2021 at 05:38 am
Ieri nella Camera dei deputati a Roma si è aperta la discussione generale sulla proposta di legge inerente il cosiddetto «fine vita», eufemismo per dire «suicidio assistito», mascherina sanitaria per nascondere «eutanasia», a propria volta arzigogolo verbale per spacciare l’assurdo della «morte buona».
Puntuale è giunta l’Associazione Luca Coscioni, una delle maggiori forze culturali che spingono per la legalizzazione dell’eutanasia. «Ascoltando il dibattito alla Camera dei deputati è chiaro che per alcuni gruppi parlamentari la legge è un’occasione per mettere in discussione conquiste già realizzate più che per creare nuovi diritti», scrive l’Associazione in un comunicato per la stampa. «Chi parla di “cultura dello scarto” o mette in contrapposizione le cure palliative e l’aiuto medico a morire punta a cancellare la legge sul testamento biologico e la sentenza della Corte costituzionale sul mio processo».
Per una volta sono perfettamente d’accordo con la Coscioni tranne un dettaglio. Non sono affatto «conquiste» quelle già realizzate, bensì abissi, ma il concetto è chiaro. E la Coscioni ha assolutamente ragione nel dire che l’occasione è propizia «per mettere in discussione conquiste già realizzate» ed evitare che qualcuno pensi di «creare nuovi diritti», e questo per un motivo molto semplice. Il motivo è che la morte procurata non è affatto un diritto, ma soprattutto che l’essere umano non può aggiungersi diritti per decreto o per voto assembleare. I diritti umani non sono infatti i capi della collezione autunno/inverno che uno si posa infilare o sfilare a seconda del freddo che fa. I diritti sono il modo prima filosofico e poi giuridico con cui gli uomini provano, timidamente ancorché fondamentalmente, a esprimere la sacralità e dunque l’intangibilità della condizione umana stessa, riconoscendo pertanto gli steccati invalicabili che proprio la natura, per natura, non può che porre.
I diritti derivano dalla natura che costituisce l’uomo, quindi sono dati, limitati e fissi. Non lievitano, non si trasformano e quindi nessuno ne può inventare di nuovi.
Ebbene, il diritto a darsi la morte non esiste. Esiste il darsi la morte, ma non è un diritto. Esiste la morte, e non è un diritto, ma questo è un altro paio di pantaloni, se vogliamo restare alla collezione autunno/inverno.
A fronte, esiste la vita, che ovviamente non è un diritto, ma il diritto a goderla esiste eccome, ed entrambi definiscono la persona umana.
È per questo che questa volta sono d’accordissimo con la Coscioni. A meno che la Coscioni sia Dio, e ciò non risulta agli atti, né essa né le persone che la pensano come loro possono aggiungere un presunto diritto a ciò che è la natura umana data prima e oltre ogni opinione umana, persino la più autorevole, su di essa. Pensare di aggiungere un presunto diritto alla natura umana significa alternare la natura umana e andare contro natura.
Sì, quindi. Il momento parlamentare è propizio proprio per rimettere in seria discussione la bugia dei nuovi “diritti”, riportando la barra al centro, ovvero alla dimensione autentica della natura umana. Se le discussione sull’eutanasia che si è aperta alla Camera verrà portata avanti con questa chiarezza, si potrà davvero sperare che il falso mito della «morte buona» arretri, arretri sempre più e tenda a scomparire. Altrimenti, comunque poi vada a finire, noi che difendiamo la laicissima e universalissima sacralità della vita umana avremmo perso, perso ab ovo.
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