Se il governo decide chi deve crescere i nostri figli

Ci mancava il congedo di maternità ai papà. Sfogo di una mamma-moglie coi piedi per terra

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Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:18 am

E niente, sembrava una bella notizia, «Maternità, il governo vuole portarla a sei mesi». Il tempo di leggere il titolo e l’entusiasmo si trasforma in dubbio: «Uno anche per il papà». Ma davvero? Non fa in tempo, nella mente, nemmeno a formarsi un’immagine fugace: due giovani sposi che vivono una “seconda luna di miele” occupandosi entrambi, per un mese intero, del cucciolo appena nato. La realtà è ben altra: è allo studio del governo la possibilità di estendere il congedo di maternità obbligatorio da cinque a sei mesi, prevedendo che il papà ne utilizzi il 20%. Un congedo di “genitorialità” dunque.

Ma in che senso? Nel senso che «dobbiamo passare dalla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che in genere pesa tutto sulle donne, alla condivisione delle cure familiari». In fondo «lo fa già la Svezia». La trovata geniale è così presentata dal Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, Francesca Puglisi.

Raccolti dal pavimento delle illusioni i cocci dell’ingenua immagine di condivisone familiare, ecco il nuovo film che si proietta mentalmente: la mamma, assonnata dopo una notte trascorsa ad allattare (che se stai fuori tutto il giorno ti tocca sfruttar la notte per mantenere la produzione di latte) si infila frettolosamente vestito e scarpe (magari la sottosegretario si immagina tacchi e tailleur, più verosimilmente antinfortunistiche e tuta da lavoro), dà un bacio a papà e bambino che sonnecchiano ancora nel lettone, e si avvia al lavoro. Felice perché la sua dignità di donna e lavoratrice è tutelata. Nella borsa ha un involucro termico, un tiralatte e dei contenitori sterili, che userà più tardi – in uno sgabuzzino o, peggio, nascosta in una toilette – per tirarsi il latte, sacrificando la pausa pranzo, domandandosi se nel frigorifero ce n’è abbastanza, se il marito si ricorderà che non è buona cosa scaldarlo nel microonde, se il suo cucciolo, nutrito di giorno da una tettarella in silicone, la sera avrà ancora piacere ad affondare nel suo seno (non è scontato). Forse ha mal di schiena e le gambe pensanti: dopo il parto il corpo ha bisogno di tempo per tornare alla normalità. Il seno le fa male, perché il tiralatte non è efficace come il bambino, e nemmeno altrettanto delicato. Ma lei è felice, perché la sua dignità di donna e lavoratrice è tutelata.

Torna a casa: il papà è stanco, il bambino ha pianto tanto tempo, forse ha le coliche, è inquieto. La mamma prende il piccolo, lo calma col suo latte (finalmente si allenta la tensione al seno). Il papà riposa un po’: la sua giornata è stata dura. Mamma gli prepara un thè, si guarda intorno, la casa è un caos e lei ora sistemerà, dopo avere stoccato il latte raccolto durante la giornata, sterilizzato il tiralatte e tutti i contenitori. Poi ceneranno e andranno a letto sfiniti. Così lei potrà ricominciare ad allattare con calma il suo bambino, e alzarsi presto la mattina dopo. Felice, perché la sua dignità di donna e lavoratrice è tutelata.

Oppure il papà è soddisfatto e rilassato: lui e il suo bambino hanno fatto una bella passeggiata nel parco, hanno dormito accoccolati sul divano, il papà si è ordinato una pizza e ha guardato un bel film mentre il bimbo gorgheggiava felice giocando sul tappetone. La mamma sospira? Ma no, macché, è un sospiro di sollievo! È felice che il suo compagno stia “condividendo le cure familiari”. Non le dispiace neanche un po’ di non avere visto la prima volta che il pargoletto si è voltato sul fianco. Ha sorriso a una foglia che cadeva nel vento? Che bello! Magari la prossima volta il papà può fare una foto… La mamma si siede, finalmente, sul divano, e prova a offrire il seno al suo bambino (quel gesto così primordiale, che riempirà entrambi di sollievo e gratificazione), ma il papà ha già preparato il biberon: “Così fai in tempo a cambiarti, usciamo con gli amici!”. Sotto la doccia ripensa al racconto della giornata del suo bambino, a cosa si è persa mentre era altrove.

Felice, perché la sua dignità di donna e lavoratrice è tutelata, perché, riprendendo il lavoro un mese prima, vedrà sicuramente ridursi il “gender pay gap”: questo mese in cui papà sta a casa per occuparsi del bebè è davvero cruciale per la sua carriera, perché è il «peso delle cure familiari» (sempre la Puglisi) a spiazzare le donne. In fondo è giusto che chi si occupa dei figli sia penalizzato, che non vengano implementate le politiche di smart working o che la maternità sia sempre concepita come un’alternativa o un ostacolo alla realizzazione lavorativa. In fondo l’accudimento familiare è davvero un peso indesiderabile, mentre la priorità del governo è “spingere le donne sul mercato del lavoro”.

Quindi, la soluzione perfetta. Che il peso, l’ostacolo, l’inciampo sia condiviso! Non equamente, per carità, che le donne non si illudano di avere diritto a così tanto, facciamo un 80/20. Le donne si pigliano (oltre alla gravidanza e al parto) l’80% dell’ingombrante cura di un fastidioso esserino che inciampa loro la carriera e il restante 20% se lo gestisca pure il padre, in fondo qualcosina c’entra anche lui.

L’ultima chicca? Il progetto è di renderlo obbligatorio: il mese di congedo paterno non potrà essere trasferito alla madre. Dove sono le femministe? Non era da tutelarsi la scelta della donna, sempre e comunque? Ah no, il Sottosegretario Puglisi ha progetti ambiziosi, vuole attuare «una serie di misure per promuovere una rivoluzione culturale»: mamme e papà sono intercambiabili, il lavoro viene prima di tutto, e la “genitorialità” è equiparabile a una malattia che è bene condividere tra i due “portatori” della “patologia figlio”.

Un’altra immagine si affaccia (nella speranza che non si infranga anch’essa sul pavimento delle illusioni): la maternità finalmente concepita come valore sociale e non scelta privata. Il riconoscimento delle competenze che una donna acquisisce, diventando madre. La valorizzazione dei diversi ruoli che una donna e un uomo ricoprono, nell’educazione dei figli. E allora sì, la condivisione, ciascuno secondo le proprie specificità, dell’immenso privilegio del tirar grande la propria creatura. Potrebbe essere interessante, a quel punto, anche permettere ai papà di accedere al “master child”. Governo permettendo…

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