Secondo voi è normale che in un Paese democratico un presidente democraticamente eletto venga considerato illegittimo sin dal giorno seguente la sua elezione, e questo ininterrottamente per quattro anni da avversari politici, media e piazza, con il rincalzo di aggressioni, violenze per le strade, intimidazioni, sfascismo?
Evidentemente no, ma è quello che accade negli Stati Uniti d’America, a fronte di un presidente, Donald J. Trump, che potrà pure stare antipatico a qualcuno, magari anche a molti, ma che è e resta un presidente eletto secondo regole democratiche note a tutti e da tutti accettate, che possono pure, in certi casi, dare uno scarto fra voto popolare e voto elettorale, ma che così è da sempre, e nessuno mai ci ha trovato nulla di non-democratico a meno di non essere in malafede. In un Paese dove non sono i cittadini, ma gli Stati dell’Unione a eleggere il presidente e il vicepresidente federali accade così.
Dietro però la buriana che da quattro anni accompagna ogni gesto di Trump c’è in realtà molto, molto di più. Si è cercato di delegittimare Trump in tutti i modi: scandali a luci rosse, connivenze con potenze straniere, impeachment. Ma le prove stanno a zero, come le chiacchiere.
Ora, Trump può continuare a stare antipatico ad alcuni, persino a molti. Il web reca ampia traccia di quanto il sottoscritto, per dirne una, abbia avversato Trump durante le elezioni primarie che nel 2016 avevano il compito di selezionare il candidato presidenziale che, nel novembre di quell’anno, avrebbe sfidato Hillary Clinton. Poi è successa una cosa, anzi due.
La prima è che le primarie sono finite, incoronando Trump. Scongiurare il fatto che alla Casa Bianca potesse dunque sedere la quintessenza dell’abortismo, del gender-friendly e di tutta una serie di altre immoralità, ovvero madame Clinton, era la priorità.
La seconda è che Trump, l’uomo che aveva scelto di rottamare soprattutto il conservatorismo e il Partito Repubblicano, divenuto nei decenni un buon partito conservatore come in origine non era, si è in realtà accorto che o stringeva un patto d’acciaio con essi o sarebbe stato polverizzato dalla Clinton.
Ho barato. C’è un terzo fatto. Trump è cambiato anche sui princìpi non negoziabili, pubblicamente. Era ondivago, è diventato pro life. Lo ha scritto, ha scelto consiglieri e collaboratori al di sopra di ogni sospetto a partire dal vicepresidente Mike Pence. Idem su altre questioni, a volte un po’ ambiguamente, ma meglio, molto meglio di prima e di tutti i suoi avversari Democratici.
Una volta eletto, Trump ha dato il meglio di sé. Date retta al sottoscritto, non ai media e a quanti non sanno distinguere un cactus da un cuscino e si siedono lo stesso. Basta guardare ciò che ha fatto per il diritto alla vita, per la libertà religiosa, e così via. I princìpi non negoziabili appunto non si negoziano, e quindi non ci possono essere mezze misure: o di qua o di là. Su questioni invece più negoziabili, il sottoscritto continua a ritenere che in moltissimi casi (non in tutti) Trump abbia fatto bene. Altri dissentiranno: la cosa mi sconvolge un po’, ma non tantissimo. Mi sconvolge invece immensamente il fatto che se Trump non fosse stato presidente del Paese più importante del mondo molte leggi moralmente inique in più, molto, molto inique, sarebbero passate. E su questo non si può accettare compromessi.
Ora Trump si gioca la rielezione. Ne parleremo. Intanto le strade hanno ripreso fuoco, incendiate da quei “democratici” che non sanno accettare la democrazia.
In questo quadro, Trump ha nominato il giudice Amy Coney Barrett per la Corte Suprema federale. Al momento giusto dovrà pronunciarsi il Senato. Ma cosa succederebbe se il Senato, non voglia il Cielo, bocciasse il giudice Amy Coney Barrett? Lo mostra questo video.
Lo ha realizzato la National Organization for Marriage, partner dell’International Organization for the Family (cioè l’editore di “iFamNes”); di entrambe è presidente Brian S. Brown. E cosa si vede in questo video? La reazione delle Sinistre americane alla scelta del giudice Barrett.
C’è chi esorta ad «attaccare fisicamente i senatori» del Partito Repubblicano. C’è chi grida: «Questa è guerra!». C’è una folla minacciosa che circonda il senatore Repubblicano Rand Paul e sua moglie. C’è un tweet dell’ex conduttore televisivo della CNN, Reza Aslan: «Se anche solo PROVA a sostituire [Ruth Bader Ginsburg], bruceremo questa baracca del c**o». C’è chi scrive che se il Partito Repubblicano dovesse cercare di confermare la Barrett «sigilleremo il Paese». E c’è poi la senatrice Kamala Harris, candidata alla vicepresidenza accanto al Democratico Joe Biden, che celebra un “matrimonio” gay in California (che l’episodio sia finito in un video assieme al resto gli attivisti LGBT+ non lo hanno digerito).
Be’, con un solo voto in più al Senato, quando sarà il momento, tutto questo non scomparirà. Anzi, forse aumenterà. Ma chi sia certa gente è evidente. Roba da americani? Non esattamente.
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