Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:06 am
Nell’Articolo 33, comma 3, della Costituzione italiana, oltre che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione», si dice, lo sanno tutti, «senza oneri per lo Stato». Ma pure: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali» (comma 4).
«Senza oneri per lo Stato» significa seccamente che lo Stato non finanzia la scuola non statale. Menomale, aggiungo io, perché la “lezione cinese” insegna sempre.
E però se s’impegna a garantire alle scuole pubbliche non statali, «trattamento scolastico equipollente», significa che lo Stato deve arbitrare di modo che il costo della scuola per le famiglie, sia essa statale o non statale, sia identico.
Infatti, il «trattamento scolastico equipollente» cui lo Stato s’impegna in Costituzione viene immediatamente dopo l’affermazione che le scuole pubbliche non statali godono di piena libertà, indicando cioè con chiarezza che detto «trattamento scolastico equipollente» è condizione e strumento dell’esercizio di quella piena libertà.
Ora, quale equipollenza reale vi sarebbe fra trattamenti scolastici diversi ma equivalenti se vi fosse disparità (e magari pure ampia) di condizioni economiche per fruirne? Quale libertà vi sarebbe se i costi discriminassero le famiglie? E che il «trattamento scolastico equipollente» riguardi anche la questione economica, e non solo la didattica o l’organizzazione, è evidente. L’equipollenza didattica o organizzativa viene infatti sancita nel comma 1 dell’Art. 33 («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio») e sarebbe una ripetizione inutile se il comma 4 («La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali») affermasse ancora semplicemente ciò, nella fattispecie concreta «scuola» di quel diritto universale e precedente che è l’«istruzione», di cui sono competenti i genitori.
Né si può asserire che sia equipollente un trattamento scolastico che tolleri, anzi istituisca quasi per principio oltre che di fatto, disparità economiche vincolanti e inibenti.
La Costituzione italiana è insomma chiara nel rendere le scuole pubbliche non statali parificate dette paritarie in tutto uguali alle statali: perché mai dovrebbero allora fare eccezioni i costi che per essi sostengono le famiglie? Chi pensa e sostiene il contrario abbia almeno il coraggio di dire che intende l’aggettivo «paritaria» come il Ku Klux Klan lo usa per le persone di colore.
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