Povera Italia, che invecchia precipitosamente

Né l’economia né la cultura propongono soluzioni serie alla crisi della natalità nel nostro Paese

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Mentre in tutto il mondo occidentale c’è chi è convinto di combattere la presunta crisi climatica avallando una denatalità dai tratti spaventosi e mentre dell’inverno demografico non parla quasi nessuno, l’Italia invecchia.

I dati elaborati dall’ISTAT sono lì a dimostrarlo e anche il Corriere della Sera, quotidiano nazionale autorevole per i più, dà loro la rilevanza che meritano, evidenziando come «quest’anno, per la prima volta nella storia, vivranno nel nostro Paese più signore di ottantasei anni che bambine di meno di uno. Le donne in età fertile, dieci milioni e mezzo all’inizio di questo secolo, saranno sei milioni fra vent’anni».

I numeri snocciolati fanno paura se davvero, come prosegue l’articolo, appunto «nei prossimi vent’anni – cioè, fondamentalmente, domani – la popolazione in età da lavoro calerà di 6,8 milioni di persone, la popolazione in età di pensione aumenterà di 6,6 milioni, mentre i bambini fra gli zero e i quattordici scenderanno di 1,2 milioni solo perché sono già pochi».

Sui motivi della denatalità «iFamNews» si è espresso più e più volte. Colpiscono piuttosto le soluzioni ipotetiche proposte per ottenere un risultato che definire al ribasso è un understatement. Non per invertire la rotta delle nascite, perché si considera che il tempo necessario sarebbe troppo lungo, ma per arginare i danni. E solo dal punto di vista economico, poiché «[…] sia chiaro, non che faccia piacere a qualcuno questo incredibile squilibrio fra le età, ma in fondo pochissimi fra noi sono disposti – individualmente e collettivamente – a sobbarcarsi i costi necessari a cambiare traiettoria. Fra affrontare quei costi e accettare lo squilibrio scegliamo, fondamentalmente, lo squilibrio». Evviva.

Quindi, ecco le soluzioni proposte sino a ora dal nostro Paese, e considerate un primo passo, benché non sufficiente, per contenere il disastro: l’assegno unico per le famiglie (posto che arrivi), gli investimenti per asili nido più numerosi e accessibili, un approccio più aperto all’immigrazione dai Paesi poveri.

Cosa si potrebbe fare di più, invece, per convivere al meglio con una situazione cui l’Italia di oggi non può porre rimedio, e quella di domani che si arrangi, in fondo non è un problema nostro?

Punto primo, fino ai 75 anni di età non si è anziani, al limite diversamente giovani, e si possono esplorare carriere “alternative” o il volontariato nel quartiere. Dopo, al limite, si può sempre ricorrere all’eutanasia.

Secondariamente, si dia il voto ai sedicenni, ché tanto i loro genitori non sono mica maturi, vediamo loro come se la cavano.

Terza questione, concentriamo risorse sullo sfruttamento dell’intelligenza artificiale visto che «i Paesi dove esso è più avanzato fanno più ricorso alla robotica, per sostenere i ritmi produttivi in industrie fondate su lavoratori di mezza età. Lo fanno la Corea del Sud, la Germania, il Giappone. Lo fa molto meno l’Italia, dove il lento aumento annuale dei robot in fabbrica è una delle poche caratteristiche condivise con Paesi dal profilo demografico più dinamico. Anche in questo possiamo migliorare».

Povera Italia, fossi solo vecchia, sarebbe ancora il minore dei mali.

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