Una pièce teatrale, e già il titolo dice molto. “Osceni” sono gli atti compiuti oppure quelli processuali? Lo spettacolo Atti Osceni. I tre processi a Oscar Wilde, rappresentato per la prima volta al 60° Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2017, è stato in cartellone al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 9 al 26 gennaio 2020, con il 16 e il 21 occupati da rappresentazioni dedicate alle scolaresche. Adesso girerà l’Italia, dal Bellini di Napoli al Cagnoni di Vigevano.
L’Elfo Puccini (convenzionato con il Comune di Milano) è noto per una certa sensibilità a quello che definisce il mondo LGBTQIA+. Moisés Kaufman, il drammaturgo di origine venezuelana autore del testo (rappresentato nella traduzione di Lucio De Capitani, per la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia), è dichiaratamente omosessuale e vive con il “marito” a New York, dove il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso è riconosciuto dal 2011.
Ora, lo scrittore irlandese Oscar Wilde (1854-1900) a scuola l’abbiamo letto e studiato tutti. Questo spettacolo, pur pregevole sul piano drammaturgico (convincentissimo Giovanni Franzoni nei panni del protagonista), rasenta però la propaganda.
Wilde subì tre processi che nel 1895 ne segnarono la vita e, cinque anni dopo, la morte. All’apice del successo, sposato e padre di due figli, intentò un processo per calunnia contro lo scozzese John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry (1844-1900), che lo accusava di intrattenere una relazione omosessuale con il proprio figlio Alfred, detto «Bosie». La vertenza si risolse con l’assoluzione del nobiluomo, che a propria volta ritorse però contro Wilde l’accusa di sodomia. Seguirono altri due processi: «la Regina contro Oscar Wilde», come scandito, con tono lugubre e funereo, sulla scena. Wilde, brillante e sprezzante, che si difese con arguzia gettando in campo i diritti dell’arte, dell’estetismo e del Rinascimento inglese, finì così per essere condannato a due anni di lavori forzati nel carcere inglese di Reading. Scontata la pena, si trasferì a Parigi, dove morì nel 1900.
La lettura
L’opera propone una chiave precisa della vicenda, del protagonista, degli antagonisti. Wilde è la vittima designata del conflitto generazionale fra «Bosie» e il padre, che in una lettera il giovane definisce, con disprezzo, «piccolo omino buffo». Inoltre lo scrittore è vittima di un intrigo politico che impedisce di coinvolgere i parlamentari del Partito Liberale, considerati dei viziosi impuniti, e finisce capro espiatorio di un sistema corrotto.
Soprattutto è vittima di una società ipocrita e repressa, quella vittoriana, che prima si diverte agli spettacoli del drammaturgo “anarchico” e irriverente (Wilde ne aveva due in cartellone a Londra all’epoca dei processi, fra cui L’importanza di chiamarsi Ernesto), e poi lo crocifigge.
Tutto concorre a questa lettura: i ragazzi di vita che testimoniano al processo (come «Bosie» stesso quando accenna a quanto accade nel segreto di Pulcinella dei dormitori dei college di Oxford) e l’inno britannico, God Save the Queen, nella versione rock dei Queen (non è ignoto che il cantante del gruppo, Freddy Mercury [1946-1991], fosse omosessuale e che nello slang inglese «queen» indichi un omosessuale maschio dai modi effeminati).
Ma non va bene. Alla società vittoriana non sono certo mancati difetti: non per questo ne va travolto il tentativo di mantenere vivo in Inghilterra il senso della morale tradizionale e cristiana dopo la tempesta illuminista. Va gettata insomma l’acqua sporca, salvando però sempre il bambino.
Come ha insegnato la storica statunitense Gertrude Himmelfarb (1922-2019), specialista proprio dell’età vittoriana, bisogna mantenere le proporzioni, dal momento che «nel “vittorianesimo” riscoperto, ricuperato e salvato (anche da se stesso), la Himmelfarb vedeva il resto di una morale (cristiana) sbertucciata oggi come moralismo soprattutto in odio al suo essere retaggio cristiano».
Di un ennesimo “eroe gay”, invece, gli italiani, non hanno bisogno, specie le scuole.
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