Mi colpisce, scandalizza e, francamente, mi fa sentire anche terribilmente in colpa la vicenda della donna che ha partorito il bambino e poi, non potendosi permettere una nuova vita, non lo ha riconosciuto.
La donna vive in strada, non ha una casa, non ha un lavoro, i pasti sono provvidenza o speranza, mai certezza.
Una vita fatta di freddo, di paura, di speranza che non può andare oltre un oggi terribilmente uguale a una serie infinita di domani di povertà ed emarginazione.
Il fatto è salito alle cronache. Ma pochi, troppo pochi, si sono soffermati su una amara constatazione della ragazza che, candidamente, ha detto che se avesse saputo di essere incinta avrebbe abortito.
Il bambino è stato furbo, si è nascosto, Oggi è vivo, ne siamo felici.
Ma quel che non possiamo tacere è la ragione per cui la ragazza avrebbe rinunciato ad una vita: l’impossibilità di mantenere il bambino, di dargli una vita dignitosa.
Questa storia ci deve insegnare alcune cose.
La prima è che l’aborto è tutto tranne che figlio della libertà. La giovane avrebbe abortito perché non poteva (si legga bene: “non poteva”, non “non voleva”) mantenere il bambino. E mi chiedo: è libertà questa? O è una soluzione obbligata, per certi versi, dalla disperazione della povertà. Dobbiamo continuare a esaltare la libertà di sopprimere quel bimbo, o forse – con maggior senso di responsabilità – cercare di risolvere i problemi economici che spessissimo comandano la scelta dell’aborto?
La seconda: che se non si interrompe la gravidanza, il bambino nasce. Sembra una constatazione banale, ma non lo è. Non lo è soprattutto per coloro che dicono “è solo un feto, un mucchio di cellule”. Ebbene, sappiano costoro che quel “mucchio di cellule” è il primo passo verso un percorso che – se non interrotto – porterà certamente ad una vita. Certamente. E non si rifugino nel “quel che è domani non mi interessa”, perché chi non ama il futuro non ama l’uomo. Senza amore per il futuro non ci cureremmo di tanti temi, come l’economia, l’ambiente ecc. Il domani, lo sappiano i cultori della teoria del “mucchio di cellule”, ci appartiene. E ci appartiene anche quel bambino che certamente nascerà, se non troncheremo il suo cammino.
La terza, colma di speranza, è che c’è sempre una alternativa di vita all’aborto. Ed è una alternativa splendida, specie per il bimbo che ora vive. La storia della ragazza e del bambino ci insegnano che sì, si può nascere anche nella povertà estrema. E che con onesta dignità, una volta donata la vita, si può fare un passo indietro. Doloroso, sofferto, terribile. Ma pur sempre amorevole verso quella piccolissima creatura che, sia chiaro, non ha colpe e a cui non è giusto negare la vita solo perchè un sistema non è in grado di sostenere economicamente la sua esistenza.
E se continuate a pensare che sia questione di libertà, beh, andate a chiederlo al piccolo.
Non sa parlare, ma la sua risposta sarà chiara.
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