Last updated on Settembre 15th, 2021 at 02:22 am
«Venezia che muore». Così al principio degli anni 1980 il cantautore Francesco Guccini, che oggi firma a favore del referendum pro-eutanasia, cantava “Stefania”, una madre giovanissima e sfortunata, morta di parto dando alla luce il proprio bambino.
L’altro ieri Venezia è morta una volta di più, celebrando senza pudore e senza gloria con il Leone d’Oro della Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale, il premio più ambito, la pellicola L’événément, della regista francese Audrey Diwan. Così, almeno, le “quota rosa” sono sane e salve.
Il film è tratto da un testo autobiografico dal titolo L’evento, della scrittrice Annie Ernaux , e racconta la tragedia di una giovane donna che, questa volta, decide di non far nascere il proprio bambino, ma di ucciderlo. Libro celebrato in patria e naturalmente anche qui, in Italia, dove ciò che giunge d’Oltralpe è considerato sempre moderno, all’avanguardia, spregiudicato. Dalle follie illuministe in poi.
Studentessa universitaria nella Parigi del 1963, quando anche in Francia l’aborto era pratica illegale, Annie ricorre per questo a una “mammana”, e dopo un primo tentativo che non ha riportato l’esito che la ragazza desiderava finalmente riesce ad abortire e a sopprimere il bimbo che portava nel grembo.
Il dolore e lo strazio vengono raccontati minuziosamente, ma da un punto di vista di parte, bisogna pur dirlo: il punto di vista di chi desidera liberarsi di un problema, per raggiungere i propri standard di carriera e vita libera. In ogni caso, alla fine, il bambino muore.
Venezia si leva dai sedili di velluto su cui poggiano i fondoschiena rivestiti di raso e lamé e applaude.
Ben diversamente sono accolte le voci che raccontano qualcosa di differente: Unplanned, per esempio, la pellicola che proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane racconta in anteprima lo strazio dell’aborto, riceve invece quello che si chiama un mail bombing, per esempio a Bologna, da parte di chi intende l’aborto come un “diritto” e richiede l’annullamento della proiezione.
Ma come fa ad applaudire Venezia, come può? Applaude alla “donna liberata”, alla donna che sceglie e decide, alla donna che non si fa rinchiudere in casa, moglie, madre e casalinga. Quindi decenni di empowerment femminile dove sono finiti? Ma non avevano raccontato che era possibile “fare tutto”? “Essere” tutto?
Quindi, nonostante tutto, se hai un figlio, se sei madre, devi fare un passo indietro? E sono proprio le tue compagne di cammino e di corsa a dirtelo? Meglio rinunciare? Meglio non essere madre?
«Del resto del mondo non sai più una sega, Venezia, è la gente che se frega». Forse, davvero, è così.
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