Minori e gender: il «j’accuse» degli scienziati

Duro appello di un centinaio fra medici e psicologi: i generi sono due, stop alla manipolazione mediatica e alle sperimentazioni chirurgiche

Giustizia arcobaleno

Image from Brussels Morning (Flickr)

C’è davvero un limite a tutto. L’ideologia gender inculcata ai più piccoli non piace alla maggior parte delle famiglie e nemmeno a un numero considerevole di specialisti, fra medici, psicologi e psicoterapeuti. È significativo che l’appello più recente diffuso dalla comunità scientifica parta da un ex dirigente, David Bell, di quella Tavistock Clinic di Londra, che per anni è stata all’avanguardia nella transizione di genere per i minori prima di cadere dalle stelle alle stalle, a seguito di un ormai noto caso giudiziario.

Oltre a essere stato a lungo dirigente della Tavistock, Bell ha presieduto la British Psychoanalytic Society. In questa veste ha però preso atto che il vaso è oramai davvero colmo e che lo scempio del gender vada fermato. Bambini e adolescenti non dovranno cioè mai più essere trattati come cavie da laboratorio, dice.

Ne è quindi nato un documento in forma di appello, cui hanno aderito circa un centinaio di scienziati, studiosi e intellettuali di varie nazionalità. Tra questi il filosofo Rémi Brague, la politologa Chantal Delsol e il bioeticista Didier Sicard.

L’appello ha avuto buona risonanza mediatica nella stampa internazionale, compresa quella italiana. Con un testo sintetico ma estremamente efficace, pubblicato sul quotidiano francese Le Point e su quello belga Le Soir gli studiosi firmatari demoliscono, pezzo per pezzo, anni di speculazioni farlocche imposte sulla pelle dei più innocenti.

Psicologi fuori dal coro emarginati e insultati

Attingendo a «studi seri» e a «fatti scientificamente accertati» riguardanti il cambio di sesso per i minori, i firmatari chiedono anzitutto «il rispetto del ritmo proprio a bambini e ad adolescenti nelle raccomandazioni fatte dalle scuole e delle piattaforme educative» in tema di educazione sessuale.

Molti dei programmi didattici, infatti, recepiscono le «affermazioni infondate» di numerosi attivisti LGBT+, quasi sempre prive di «obiettività». Altro risvolto giudicato censurabile: molti bambini e adolescenti vengono «esibiti in programmi televisivi assieme ai genitori, per mostrare quanto sia benefico il cambiamento di genere», senza però alcun riferimento a dati reali.

In questi contesti, poi, scatta l’artificio mediatico dell’emarginazione degli scienziati che si facciano latori di una visione critica del fenomeno, i quali, quando presenti, «vengono insultati prima di qualsiasi dibattito». La conseguenza più prevedibile è l’«effetto indottrinante sui giovani, amplificato dai social media».

Queste «pressioni mediatiche prive di sfumature» enfatizzano infatti notevolmente il mito dell’«autodeterminazione» a sostegno dell’identità di genere, per cui un cambio di sesso viene presentato come la «soluzione miracolosa» in grado di «risolvere i disturbi adolescenziali».

Quanto all’educazione sessuale impartita fin dalla scuola primaria, i firmatari dell’appello denunciano la mancata considerazione dell’«immaturità psichica dei bambini», esposti così a «contenuti invadenti e restrittivi».

Un «linguaggio creato dal nulla»

Per molti ragazzi, poi, alla fase di «normalizzazione» sul piano scolastico ed educativo segue la prassi medicalizzante, dalla quale non si può più tornare indietro. I firmatari dell’appello denunciano sia l’assenza di «razionalità scientifica» e di «obiettività» nel processo di indottrinamento, sia l’aumento dei giovani sottoposti a transizione di genere medico-chirurgica. Questi ultimi portano con sé «cicatrici fisiche» che «testimoniano la superficialità con cui sono stati trattati da medici, psichiatri e altre figure sanitarie».

«In quanto scienziati, professionisti dell’infanzia e accademici, ci opponiamo fermamente all’affermazione che donne e uomini siano semplicemente costrutti sociali o identità percepite», dichiarano i firmatari dell’appello, mettendo quindi nero su bianco le affermazioni più politicamente scorrette che si possano immaginare in questo contesto: «Non si sceglie il proprio sesso, ce ne sono solo due. Nasciamo maschi o femmine. Il sesso viene registrato alla nascita e iscritto nello stato civile» e, per quanto si possa «cambiare l’aspetto del proprio corpo», è impossibile sovvertire la propria «registrazione cromosomica».

Il documento si chiude con argomentazioni non meno radicali: «È urgente rompere con questo linguaggio creato dal nulla per imporre a tutti un’idea», che «si basa su credenze e mette sullo stesso piano verità e opinioni scientifiche», scrivono gli scienziati, ammonendo sul rischio di «confusione» tra i giovani.

In conclusione, si fa appello ai giornalisti e ai responsabili dei media affinché si sforzino di «rappresentare non solo la diversità di punti di vista, ma anche le comprovate conoscenze sulla “disforia di genere” tra i minori».

«Nell’interesse di tutti e, in particolare, dei più giovani», i firmatari del documento concludono chiedendo alle istituzioni pubbliche di «garantire il requisito dell’imparzialità nella presentazione e nella trasmissione delle conoscenze su un argomento così importante».

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