Last updated on Febbraio 22nd, 2020 at 02:03 am
Mentre il ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, continua a spingere verso una «riorganizzazione del processo di corresponsabilità genitoriale», promuovendo un paradigma culturale secondo cui la maternità è un “inciampo” nella vita professionale di una donna, esistono iniziative diverse, volte a valorizzare la maternità come una possibilità per aumentare la proprie capacità e competenze, anche in ambito lavorativo.
Prendiamo per esempio la piattaforma Maam – Maternity as a master fondata da Riccarda Zezza, mamma, imprenditrice, ex dirigente in grandi aziende. Si tratta di un programma ideato inizialmente per aiutare le neomamme a far emergere le soft skill sviluppate proprio in seguito alla nascita di un figlio. Una donna, quando nasce un figlio, «sviluppa competenze tipiche del leader» e Maam aiuta a prenderne consapevolezza, applicandole anche in ambito lavorativo. Come? Inizialmente offrendo work shop, cui hanno aderito aziende quali Luxottica, Nestlé e Ikea, poi con programmi online che hanno coinvolto più di 40 società (tra cui Poste Italiane, Oviesse, Coca Cola, Unicredit).
La Zezza racconta della propria esperienza professionale, da manager Nokia alla maternità: «Avevo l’impressione di un grandissimo spreco; mi sentivo equilibrata e organizzata […] ma le aziende di solito si pongono in una posizione non incoraggiante. […] Il congedo di maternità è una assenza, però quando torni ti senti più competente, più forte. Perché non proporre di farlo diventare un master, maternity as a master?».
Questa “sensazione” di maggior competenza si fonda su dati scientifici che la supportano: «è dimostrato che durante la gravidanza la materia cerebrale delle donne diminuisce. Questo ne aumenta l’efficienza e la capacità del cervello di collegare fattori rilevanti, tralasciando quelli secondari. Le mamme diventano così più veloci ed efficienti». Infatti «[…] dopamina e prolattina, ormoni i cui livelli aumentano molto durante la gravidanza», acuiscono «la capacità di processare informazioni, la comprensione dell’ambiente circostante, l’individuazione dei pericoli. L’ossitocina invece aumenta per chi si dedica alle attività di cura […] aumenta il livello di benessere e di fiducia. Rende più tolleranti. Nasce per facilitare le relazioni».
Il «peso delle cure familiari» che secondo il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali Francesca Puglisi “spiazzerebbe” le donne può essere riscoperto come un prezioso momento di crescita, di evoluzione e di miglioramento di sé. Lungi dal “sollevare le donne” dalle faticose incombenze della maternità, la proposta di Maam – ma è solo un esempio – propone un ribaltamento gestaltico di paradigma: tocca rompere lo stereotipo della casalinga frustata e “incompetente” (è accaduto anche a chi scrive, di suscitare grande stupore perché “pur essendo una mamma a tempo pieno” ha dimostrato competenze ulteriori allo sfornare il pane e rammendare calzini), riconoscendo la quantità di abilità di e pratiche che l’esperienza dell’accudimento hanno sviluppato e che continuano a sviluppare nella storia personale di chi lavora.
Ed è così vero che anche la proposta di Maam si è allargata, rivolgendosi anche ai neopapà, chi accudisce genitori anziani, a chi ha figli adolescenti, più in generale a tutti i caregiver. Tutti ruoli “esterni” al mondo del lavoro, che però potenziano competenze quali «ascolto, comunicazione, empatia, gestione del tempo a cui si aggiungono il problem solving, l’innovazione, il pensiero laterale, la creatività, e altre; tutte cose per le quali le aziende, in base ai dati Istat, spendono un miliardo all’anno». Non per niente la piattaforma Maam non si rivolge ai singoli dipendenti, ma alle aziende: il vantaggio di promuovere iniziative volte a valorizzare «la ricchezza e la forza dirompente della vita» è anzitutto delle società che sono pronte a riconoscere e implementare il life based learning, la possibilità, cioè, di «portare sul lavoro ciò che si apprende nella vita quotidiana».
Come la fondatrice di Maam afferma: «Le aziende devono poter contare sul benessere dei propri dipendenti, perché ne guadagnano in produttività, in innovazione. Se le persone stanno bene, se vedono la coerenza con chi sono, se hanno la possibilità di portare la propria autenticità in azienda, lavorano meglio e producono di più. E non c’è alternativa: siamo arrivati al punto che le aziende devono urgentemente occuparsi anche di questi temi». Lo sostiene con forza anche Maria Bianca Farina, da due anni presidente di Poste Italiane: «i figli non sono di inciampo alla carriera».
Da questa esperienza è nato anche un libro, Maam. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne, scritto dalla Zezza in collaborazione con Andrea Vitullo, anche lui ex manager e ora Executive Coach. Pare che anche il ministro Bonetti abbia avuto sentore di questo nuovo sguardo sulla maternità, visto che, pur senza menzionare direttamente Maam, ha ne ha riportato nel dettaglio i contenuti – quasi citandoli a memoria – nell’incontro tenuto a Milano lunedì 17, dal titolo Scopriamo il «Family Act» con Elena Bonetti. Speriamo non si sia trattato di un mero discorso, ma che anche il ministro stia spalancando la propria stereotipata visione delle donne “schiave” dell’accudimento a una più moderna e vincente immagine di qull’occasione straordinaria che è la maternità, in grado di portare con sé «nuove energie ed abilità essenziali anche per la vita professionale».
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