Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:17 am
«Una pietra miliare sul tema dell’etica ai confini della vita». Sottendono un’attesa importante le parole che il prof. Filippo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), usa per l’evento che si tiene domani, 30 gennaio, a Roma dal titolo Medici e sanità ai confini della vita: il ruolo del medico. Organizzato appunto dall’AMCI si tiene in un periodo topico: pochi mesi fa la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza [link] che ha aperto la strada al suicidio assistito. Un segnale giuridico che per molti costituisce la spia di «un clima che si sta respirando in tutta Europa», spiega Boscia ad “IFamNews”, «perché una serie di eventi dimostra che la società è più propensa all’abbandono che alla cura», specie quando si ha a che fare con persone che «hanno una scarsa capacità di produrre». I medici, afferma il presidente, «hanno il dovere di parlare con una voce sola e in grande unità, per riaffermare che l’eutanasia non è una forma di libertà di scelta». Doverosa, dunque, la presa di posizione dei camici bianchi. Ma non sufficiente. Boscia si rivolge anche al legislatore, che, dice, «in dieci anni non è riuscito a mettere mano alla norma sulle cure palliative», perché, nonostante ci sia la legge (la 38 del 2010), mancano i fondi adeguati per consentire alle Regioni di attivarla. Una lacuna, questa delle cure palliative, che non è la sola. Boscia è dell’avviso che «se i cittadini non sono messi nelle condizioni di accedere alle cure, è più facile che si convincano che sia meglio morire». Secondo il medico, «il punto più dolente della questione è proprio questo: il principio di indisponibilità della vita sta diventando da assoluto a derogabile proprio perché la Sanità non sempre garantisce la completezza delle cure». Su questo, prosegue Boscia, influisce anche il tema della denatalità, perché «se si fanno meno figli, in futuro si avranno sempre meno lavoratori e ne risentiranno la fiscalità generale e la tenuta dei conti della Sanità».
Screening prenatali e aborto eugenetico
A proposito di allocazione di risorse in ambito sanitario, nei giorni scorsi in commissione Sanità al Senato, il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha spiegato che sarà sottoposto all’esame della Commissione nazionale l’inserimento nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), degli screening prenatali non invasivi. L’Associazione italiana ginecologi ed ostetrici cattolici (AIGOC) ha però lanciato l’allarme, sottolineando che l’anticipazione della diagnosi dello stato di salute genetico del proprio figlio allarga in modo esponenziale la possibilità di ricorrere all’aborto. Per l’AIGOC, quindi, si inserisce così «un elemento facilitatore dell’aborto eugenetico». Concetti che risuonano anche nelle parole di Boscia. Per lui «la pretesa di nascere sani comporta inevitabilmente un orientamento verso la selezione». Piuttosto, a suo avviso, è necessario un lavoro culturale per far sì che gli screening prenatali servano alla coppia «per meglio accogliere il nascituro, non per eliminarlo se avrà delle problematiche». Condivide la posizione il prof. Filippo Anelli, presidente nazionale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), che il 30 gennaio terrà una relazione dal titolo Quando Deontologia ed Etica si incontrano. Anelli rileva che «il consenso informato è un diritto, ma non deve però portare a una selezione del genere umano». Di qui il ruolo del medico, «la cui competenza è fondamentale per garantire il diritto alla salute», e dunque anche ad accompagnare i pazienti in scelte che non violino il diritto alla vita.
Medici dinanzi a nuove sfide
Ma oggi, dinanzi all’avanzare della tecno-scienza, il ruolo del medico rischia di cambiare? Sul tema si interroga Massimo Polledri, neuropsichiatra infantile e già deputato della Lega, che terrà un intervento intitolato Cultura della vita e praxis medica. A suo avviso il medico «è stato sempre ispirato a un grande principio di prudenza», per cui, nonostante le leggi siano talvolta degenerate, i camici bianchi si sono sempre attenuti al Giuramento di Ippocrate. E questo, sottolinea, «ha rappresentato una salvezza per l’umanità». Anche oggi, dunque, «l’agire del medico deve restare saldo nella tutela della vita», senza cambiare in base ai paradigmi morali imposti dal Cesare di turno. Polledri invita allora i colleghi a far sentire la propria voce contro la deriva antropologica in atto. Medici che si trovano, dopo la sentenza 242 della Corte costituzionale sul suicidio assistito, di fronte a nuove sfide. Alfredo Mantovano, che da giurista e presidente del Centro Studi Rosario Livatino domani parlerà proprio di questo argomento, spiega che tale sentenza conferisce «al medico chiamato a un trattamento di fine vita di potersi regolare caso per caso». E, aggiunge, «se il richiamo è alla propria coscienza, il codice deontologico all’art. 17 spiega chiaramente che il medico di fronte a un paziente vivo deve rispettare, senza accanimento terapeutico, quella vita». Ecco allora, conclude Mantovano, che «la riflessione diventa indispensabile perché il medico si trova a fare da spartiacque tra il rispetto di regole con tradizione plurimillenaria e stravaganze degli ultimi decenni che interessano i Paesi occidentali».
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