Aborti clandestini in Malawi, figuraccia di «The Telegraph»

Il quotidiano ammette di avere frainteso i dati sulla mortalità delle madri che hanno abortito

Malawi, donna con bambino

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Il 2 febbraio il quotidiano britannico The Telegraph ha pubblicato un articolo intitolato Clarification: Malawi back street abortions, «Chiarimento a proposito degli aborti illegali in Malawi». Tale titolo è però tendenzioso, perché non di correzione si tratta, bensì di una vera e propria ritrattazione.

Nella realtà, è accaduto che un articolo del 19 febbraio 2021 apparso sul medesimo quotidiano riportasse la notizia di «migliaia di donne morte come galline in Malawi, mentre [nel Paese] rimangono in stallo le spinte per allentare le restrizioni della legislazione sull’aborto»:12mila donne ogni anno, per la precisione, conseguenza di 141mila aborti clandestini, secondo un’interpretazione risultata poi non adeguata dei dati contenuti in un rapporto del Center for Reproductive Health del College of Medicine, nell’Università del Malawi.

È trascorso un anno intero prima che il Telegraph si sentisse di dover correggere questo numero esorbitante, riferendo che «[…] tuttavia, un esame più attento del rapporto congiunto, che è pubblicamente disponibile, mostra che questa stima di 12mila donne che muoiono ogni anno a causa di aborti clandestini non è supportata dai dati contenuti nel rapporto stesso. In effetti, è probabile che il numero di morti per aborto “di strada” in Malawi sia molto più basso. Ad esempio, un rapporto pubblicato dal Gruppo della Banca Mondiale in collaborazione con l’OMS, l’UNICEF, l’UNFPA e la Divisione della popolazione delle Nazioni Unite nel 2019 ha stimato 2.100 decessi materni in totale in Malawi ogni anno, e solo una piccola parte di questi sono attribuibili ad aborto non sicuro». Ah, ecco.

L’errata corrige del quotidiano poggia su uno uno studio analitico redatto dal dottor Calum Miller, medico e accademico, sottoposto a peer-review accurata, pubblicato originariamente sul periodico International Journal of Environmental Research and Public Health (IJERPH) addirittura in ottobre. Quattro mesi fa. Quattro mesi affinché la redazione «Global health security» di un importante quotidiano nazionale del Regno Unito rettificasse un’informazione tanto tragica, ancorché riguardi uno staterello dell’Africa sud-orientale che evidentemente non interessa a nessuno.

Pensare male non è una bella cosa, ma la sensazione che ogni mezzo sia lecito pur di forzare la mano ai governi giustamente recalcitranti affinché rendano l’aborto sempre più libero e accessibile non svanisce, anzi, si fa strada, specie se si considera la posizione recente del Malawi sulla cessazione della gravidanza.

Nel 2017, infatti, la commissione preposta aveva redatto un disegno di legge per riformare l’attuale normativa e includere la legalizzazione dell’aborto in caso di stupro e incesto. Negli anni successivi l’ipotesi di tali cambiamenti è parsa meno realistica e, più di recente, ulteriori tentativi di legalizzare l’aborto sono falliti, finché all’inizio del 2021 il parlamento ha respinto all’unanimità una proposta in merito e un disegno di legge successivo è stato addirittura ritirato dagli stessi promotori.

In ogni caso, «iFamNews» aveva riferito dello studio del dottor Miller già in ottobre con un articolo intitolato Africa, basta bugie sull’aborto, smascherando se non la falsità quanto meno la faciloneria con cui sono stati trattati i dati, per piegare la realtà ad altri fini. Ora c’è arrivato pure The Telegraph. Meglio tardi che mai.

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