Last updated on aprile 14th, 2021 at 10:38 am
100mila firme non sono tante. 100mila firme è un numero che si può raggiungere agevolmente, se la causa è di quelle buone. 76.022 è un buon numero e l’ultima firma in ordine di tempo, nel momento in cui scrivo, è la mia.
Ma è meglio procedere con ordine.
Il 22 febbraio scorso la Fondazione Novae Terrae, in collaborazione con CitizenGO, la nota piattaforma che si qualifica come «comunità di cittadini attivi che collaborano tramite petizioni e campagne online e altre attività per difendere i loro valori comuni», ha promosso una petizione a sostegno del Presidente del Consiglio Sovrano del Sudan, Abdel Fattah Abdelrahman Burhan. La petizione è internazionale e vuole portare la propria solidarietà all’azione del governo sudanese in tema di diritti umani, libertà di religione e libertà di pensiero.
Perché di questo si tratta: dopo trent’anni e più di presidenza di ʿOmar Hasan Ahmad al-Bashīr, il Sudan e il governo di transizione attualmente in vigore vorrebbero e vogliono dare una sterzata a ciò che è stata definita da molti «la dittatura di al-Bashīr». Proteggere cioè la libertà religiosa, tanto per fare un esempio.
Non è mai semplice parlare di Africa, lontani geograficamente e talvolta culturalmente come ci si trova. Per questo “iFamNews” ha preferito interpellare una persona che l’Africa la frequenta da tempo, per ragioni personali e professionali. Ne ha parlato quindi con Emanuele Fusi, presidente della Fondazione Novae Terrae, e dalla chiacchierata che ne è seguita scorrono alcune delle considerazioni che si leggono qui.
Dal 1989 la sharia, vale a dire l’imposizione della legge islamica, è stata nel Paese pesantissima, per lungo tempo. Sino al 2020, per esempio, qualsivoglia consumo di alcol prevedeva la pena di quaranta frustate: anche per i non musulmani, anche per i cosiddetti “infedeli”.
Durante il periodo del Ramadan, che prevede l’astensione da qualsiasi cibo o bevanda dall’alba al tramonto, neppure l’acqua era concessa, neppure in un albergo, neppure per chi visitasse il Paese per ragioni di lavoro e non fosse di religione islamica.
Ma per qualcuno sono dettagli, forse. Non è un dettaglio invece il crimine di apostasia, revocato solo ora. O le regole stringenti e draconiane imposte alle donne, che soltanto oggi possono ottenere un passaporto e uscire dal Paese, se lo volessero.
Esiste ancora, nel Paese africano, una minoranza che per tradizionalismo e per un malinteso integralismo islamico non accetta passi in avanti che possano, per esempio, togliere al Sudan il secondo posto in una sorta di “lista nera” fra i Paesi al di fuori dei circuiti internazionali delle carte di credito.
Oggi l’immensa capacità produttiva del Sudan, ai primi posti per esempio per quanto riguarda la presenza di oro nel sottosuolo, lo rende un Paese appetibile a qualunque potenza straniera con due lire in tasca da spendere per appropriarsi di ricchezze importanti e senza padrone.
Chi vi lavora, per quanto riguarda i governi o le aziende occidentali, lo fa spesso a prezzo di un impegno personale gravoso, quasi sempre affiancando agli “affari” una sorta di volontariato che desidera alleggerire il peso e la fatica di un inurbamento precipitoso della popolazione.
Ma un’Africa gestita così, fa comodo? E a chi? Un intero continente considerato miniera di materie prime senza regole, e senza alcuna regola nella gestione, è utile?
«Il deserto nubiano conserva tesori archeologici straordinari, il Mar Rosso nella sua parte sudanese è preservato e intatto, il Sudan è un Paese vergine e magnifico che se protetto potrà rappresentare un vero e proprio patrimonio per l’umanità intera», conclude Emanuele Fusi. Augurandosi che le relazioni internazionali, diplomatiche e commerciali, possano affiancare il Sudan in un cammino sano e proficuo alla modernità. Per questo, anche una petizione ha un senso, e vale.
Chi desiderasse firmare la petizione, può farlo al link seguente: Sosteniamo la libertà religiosa in Sudan.
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