Luci e ombre delle politiche governative pro family

Bonus e denari aiutano le famiglie ma non invertono la mentalità. E la famiglia non nasce solo dai soldi

Photo by Jessica Rockowitz on Unsplash.com

Il netto calo dei tassi di natalità è forte e ubiquo: si prenda la Corea del Sud, per esempio, dove il tasso di fertilità è diminuito del 25% in soli 5 anni, o la Finlandia, dove è sceso del 20% dal 2015. A fronte di questa corsa all’estinzione dell’uomo occidentale, un numero crescente di Paesi ha preso a contrastare le sfide economiche e politiche che vi sono associate.

I dati resi disponibili dalle Nazioni Uniti dimostrano che negli ultimi decenni il numero dei Paesi che hanno adottato politiche a favore delle nascite è cresciuto dal 10% nel 1976 al 15% nel 2001 al 28% nel 2015. Da quell’anno, politiche pro-natalità sono state attuate in Ungheria, Polonia, Grecia, Corea, Giappone, Finlandia e Lettonia. Eppure sono ampiamente dibattute.

Alcuni sostengono per esempio che le tanto acclamate politiche dell’Ungheria non aiutino in realtà molto le famiglie (e c’è di mezzo anche la questione spinosa della fecondazione artificiale) e, più di recente, anche l’iniziativa polacca per le famiglie numerose pare non avere dato i risultati sperati. Ma non è un quadro chiaro. Il cosiddetto Programma CSOK ungherese potrebbe infatti anche avere davvero spinto, seppur di poco, le nascite, mentre i tassi di natalità della Polonia sono aumentati notevolmente dopo l’implementazione del Programma 500+, benché ora siano in calo. Comunque restano elevati rispetto a prima della riforma.

Ancora. Il CSOK di Budapest è stato progettato per incoraggiare le famiglie ad avere un terzo figlio, ma i numeri dei terzi e dei quarti bambini ungheresi sono diminuiti. Nel frattempo, le politiche di Varsavia a favore del secondo e del terzo figlio sembrano far coincidere l’aumento delle nascite nel Paese dal 2017 con il grande aumento proprio di secondogeniti e di terzogeniti. Inoltre la Polonia, nel 2019, ha ampliato il Programma 500+ ai primogeniti. Il successo polacco, a paragone del mezzo fallimento ungherese, si basa su un’assegnazione generosa e universale di denaro che aiuta fattualmente numerose famiglie, diverso appunto dall’approccio ungherese limitato e concentrato su prestiti e altri espedienti finanziari .

Gli ultimi 34 studi accademici pubblicati dal 2000, la stragrande maggioranza dei quali successivi al 2005, valutano l’efficacia di politiche prenatali specifiche. 22 di essi contengono stime sufficientemente dettagliate di effetti e costi, utili per un’analisi comparativa approfondita dalla conclusione piuttosto semplice: l’aumento del valore attuale degli assegni familiari al 10% del reddito di una famiglia produrrà tra lo 0,5% e il 4,1% in più di tassi di natalità.

Sotto esame sono anche i programmi sui cosiddetti “bonus bebè” nel Quebec canadese e in Australia, coronati da effetti piuttosto importanti. L’OCSE però afferma che i “benefici del primo anno”, fatti principalmente di indennità di maternità ma appunto di “bonus bebè”, hanno prodotto un effetto estremamente ridotto.

Al di là dei disaccordi sulle singole misure, però, quasi tutte le ricerche condividono il giudizio: gli aiuti alla natalità aumentano la fertilità. Tutti gli studi valutano gli effetti della fertilità a breve termine, ma alcuni esaminano anche quelli a lungo termine. Ora, il punto è che questi ultimi vengono ridotti dai primi, giacché gli effetti a breve termine agiscono solo anticipando i tempi delle nascite e non producono un cambio di mentalità pieno e consapevole. Il denaro aiuta le politiche familiari ed è un investimento win-win per famiglie e Stati, ma non sono i soldi che fanno la famiglia.

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