Lo psicologo: «Le “droghe leggere” non esistono»

Tre mesi, e un ragazzo passa dalla canna alla siringa. Simone Feder spiega come e perché

«Quando si parla di droga le espressioni più utilizzate sono “liberalizzazione”, “droghe leggere” e “riduzione del rischio”, ma c’è un grande assente nel dibattito pubblico: il disagio. Ci sono giovani di 16 anni che ci dicono “a me non me ne frega niente di niente”, e da questo disagio si apre la porta delle dipendenze. Eppure, nonostante la droga, nonostante la crisi educativa, nonostante manchino punti di riferimento anche nel mondo degli adulti, non esistono giovani irrecuperabili». Non ha dubbi Simone Feder, psicologo, coordinatore dell’area Giovani e dipendenze alla Casa del Giovane di Pavia, che parla di ritorno dall’ennesima notte trascorsa accanto ai giovani nel boschetto di Rogoredo. Tra le mani i risultati di un’indagine sugli stili di vita giovanili, realizzata nel 2019 da Casa del Giovane e Fondazione Exodus Milano. I dati, che Feder presenta in anteprima a “IFamNews”, sono stati raccolti all’interno di 89 istituti secondari di secondo grado, coinvolgendo in totale 14.455 studenti (52.85% maschi e 47.15% femmine), con età media 17 anni.

Feder, cos’è il boschetto di Rogoredo?

È un non-luogo, dove troviamo una non-vita. Siamo all’interno del Parco Sud di Milano, dove c’è l’abbazia di Chiaravalle, una zona con una storia profonda, conosciuta e amata dai milanesi. Negli ultimi anni qui c’è stato un confinamento del disagio perché la città metropolitana, impegnata nella costruzione dell’Expo, aveva bisogno di non avere sotto gli occhi queste realtà, così tutte le comunità dello spaccio hanno trasformato il boschetto di Rogoredo in un non-luogo. Lì siamo entrati portando cibo, coperte, ascoltando le parole e la rabbia di questi ragazzi. Ci sono giovani ridotti come bestie, scartati dalla società, che hanno bisogno di un saluto, di un riconoscimento di umanità. Dire “ciao Fabio” a un ragazzo che non viene chiamato per nome da anni scuote la sua coscienza e la nostra.

Il boschetto di Rogoredo è “il dopo”, è il volto dell’uso quotidiano di sostanze stupefacenti, ma “il prima” è un dibattito legato alla liberalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”…

Si usano termini rassicuranti come “riduzione del danno” perché fa comodo pensare così, non costringe a specchiarci con la realtà. Ma le “droghe leggere” non esistono: oggi nella cannabis si è passati da una concentrazione di principio attivo del 7% a una del 30%, ciò significa che assumerla, soprattutto in età precoce, slatentizza e porta verso esordi psicotici. Sono droghe e, come tutte le droghe, fanno male, anche se dirlo significa essere tacciati di proibizionismo. Dalla ricerca nelle scuole è risultato che l’81.74% degli studenti conosce persone che fanno uso di sostanze, e oltre il 40% degli studenti frequenta queste persone abitualmente.

Dalla vostra indagine risulta inoltre che tra gli studenti intervistati, Il 2.65% ha fatto uso di cocaina, il 2% ha fatto uso di eroina e il 3% ha fatto uso di altre sostanze sintetiche. Come avviene il passaggio dalle “droghe leggere” alle “droghe pesanti”?

Oggi è tutto diverso. Prima di tutto il passaggio avviene molto più velocemente rispetto agli anni 1970 e 1980: possono bastare 3 mesi, un’estate, perché un ragazzo passi dalla canna alla siringa. La situazione però è sempre più complessa, perché incontriamo ragazzi che spacciano ma non usano, ragazzi che fanno uso di eroina ma non di cannabis. Il passaggio oggi non solo è più repentino, ma non è più graduale, e questo deve spingere anche noi psicologi a cambiare la nostra impostazione. Uno studente che si forma per occuparsi di disagio deve entrare fin dal primo anno in realtà come il boschetto, non può fare poche ore di esperienza poco prima della laurea.

C’è un altro dato che colpisce, ed è la (poca) fiducia dei giovani negli adulti. Il 74.11% degli studenti non rivelerebbe i propri problemi ai professori, il 37% lo considera una perdita di tempo. La mamma resta la figura adulta più ricercata (69%), seguita dal papà (53%), ma entrambi sono molto al di sotto degli amici.

C’è una crisi educativa drammatica, perché anche l’educazione acquista uno stile sempre più comodo. I bambini e i ragazzi non hanno più la capacità di reggere i “no”. E questo rende tutto faticoso, rende il peso della vita, con i suoi inevitabili ostacoli, insopportabile. Non a caso è sempre più facile rifugiarsi nello smartphone, che è utilizzato dal 49.28% del campione durante la notte, dal 84.07% durante il tempo trascorso con gli amici, dal 68.36% a scuola e dal 29.25% durante i pasti. Oggi c’è una noia, un non gustare le cose che si vivono, che viene anche da questa crisi educativa. Dall’assenza di genitori e adulti che non cancellino la fatica, ma accompagnino dentro la fatica per gustare la vita.

Recentemente lei ha scritto sul suo profilo Facebook «nessun ragazzo è irrecuperabile», l’eco di don Enzo Boschetti, sacerdote pavese e fondatore della Casa del Giovane, del quale è in corso la causa di beatificazione, è fortissimo.

In tutti c’è una parte di bene nascosta, il nostro compito è portarla alla luce. Don Enzo era mosso da questa convinzione quando negli anni 1970 passava le sue notti nelle strade del quartiere Ticinello, a Pavia, raccogliendo ragazzi che si erano appena bucati, a volte in fin di vita. Quando un ragazzo entra nel mondo della droga, come cliente o come spacciatore, vede ricostruirsi attorno legami comunitari che la società dei social oggi ha distrutto. Lo cercano perché vogliono la dose, lo contattano per proporgli una nuova sostanza. Dobbiamo ripartire da qui, da un bisogno di comunità insito nel cuore dell’uomo, per ricostruire. A Rogoredo vediamo già i primi frutti, con il panettiere, il barista e il farmacista della zona che sono in prima linea per aiutarci. La noia e l’assenza di gusto per la vita aprono la strada alle dipendenze, e questo deve interrogare anche gli amministratori locali di città dove la sera per i giovani l’unica attività aperta è il bar che vende alcolici. Intanto, nel silenzio di un dibattito pubblico rassicurante, nel boschetto di Rogoredo si continua a morire, magari proprio sui binari, e siamo già al secondo caso in un mese. Ma chi muore così non viene neanche ricordato.

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