Last updated on marzo 23rd, 2020 at 06:43 am
Crash dei mercati finanziari, economia reale verso la recessione e panico da pandemia. Le reazioni sui mercati paiono eccessive, a una vista superficiale, ma in realtà il panic selling in atto è diretta conseguenza di una situazione pregressa di eccesso di valutazione del mercato azionario, obbligazionario e di alcune materie prime, tra cui in particolare il petrolio.
L’ampiezza e la velocità del collasso delle Borse, in particolare, va infatti messa in relazione ai rialzi artificiali indotti a partire dalla primavera 2009, prima sulla Borsa statunitense e poi anche sulle altre principali piazze mondiali, grazie alle decine di migliaia di miliardi (usando il dollaro statunitense come unità di misura) “creati” ex nihilo dalla Federal Reserve statunitense, dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca del Giappone e dalla People’s Bank of China, per citare solo le principali autorità monetarie mondiali. Un’enorme massa di liquidità che ha sostenuto e che ha gonfiato le quotazioni azionarie ed obbligazionarie in giro per il mondo, creando quel fenomeno che la Scuola austriaca dell’economia chiama asset inflation.
Il fatto che negli ultimi anni salissero contemporaneamente le quotazioni azionarie e i corsi obbligazionari ‒ con una correlazione anomala, ragionando in termini di cicli economici ‒ è stata conseguenza diretta delle continue iniezioni di liquidità sui circuiti finanziari. Questa massa abnorme di denaro fiat, cioè senza alcun valore intrinseco, ha incentivato l’azzardo morale, la speculazione finanziaria, scoraggiato il risparmio e spinto all’indebitamento. Si è così creato un trasferimento di ricchezza, che ha probabilmente contribuito ad accrescere le diseguaglianze sociali avvantaggiando le persone più abbienti, le quali ovviamente investono maggiormente sui mercati finanziari.
La mole dei debiti pubblici e privati in giro per il mondo è contemporaneamente cresciuta a livelli folli, circa 250mila miliardi di dollari, con un’accelerazione dal 2008-2009 non correlata dalla crescita dell’economia reale. Quando i debiti crescono troppo rispetto alla capacità di farvi fronte si creano dei problemi di sostenibilità, sia che si parli del bilancio familiare sia che si tratti di un’azienda oppure di uno Stato sovrano.
Già, perché non esistono differenze sostanziali ‒ lo insegna ancora la Scuola austriaca ‒ tra la cosiddetta micro-economia e la cosiddetta macro-economia, come invece piace credere ai seguaci delle teorie keynesiane o monetariste. Purtroppo la ricchezza non si crea ex nihilo, né a livello micro né a livello macro. A livello macro, semmai, i governi dispongono di maggiori leve per spostarla da una classe sociale all’altra o da una generazione all’altra, ma qualcuno alla fine il conto lo paga sempre. Non esistono pasti gratis, purtroppo.
I nodi arrivati al pettine
Ed è quello che si sta vivendo in queste settimane di tracolli sui mercati, dove il coronavirus è innanzitutto l’ago che ha fatto scoppiare bolle esistenti già prima, causate dalle politiche monetarie ultra-espansive delle Banche Centrali e dalle politiche di deficit spending dei governi. Ora la pandemia porterà verosimilmente in recessione, anche marcata, molte economie a livello mondiale, e l’Italia è sicuramente tra queste. Ciò renderà ancora meno sostenibili i debiti in circolazione, a partire dai debiti pubblici estremamente elevati (come appunto quello italiano) e dai debiti corporate high yield, cioè quelli emessi da debitori privati con basso standing creditizio.
Per evitare una serie di default dei debiti su scala mondiale, le Banche Centrali saranno costrette ad agire ancora di più sulla leva finanziaria, per comprimere in ogni modo i rendimenti obbligazionari verso il basso e rendere così i debiti più sostenibili.
In tal modo si attuerà un gigantesco, ancorché subdolo, trasferimento di ricchezza dai creditori-risparmiatori verso i debitori: i mancati interessi dei creditori consentiranno così ai debitori di galleggiare. In altre parole, la gravità della situazione costringe di fatto le autorità monetarie a proseguire a oltranza, anzi a rafforzare, quelle politiche poco ortodosse che sono la principale causa dell’asset inflation.
Anche i governi, per parte loro, interverranno con stanziamenti emergenziali che altro non sono se non debiti ulteriori destinati a scaricarsi sui contribuenti attuali e futuri. In Italia ci si deve cioè attendere un deficit annuale e un debito pubblico cumulato in marcato rialzo, a fronte di un PIL in forte discesa, che porta ovviamente i parametri di stabilità finanziaria a toccare nuovi record negativi.
Se i danni sui mercati finanziari si potranno in qualche modo arginare con i trasferimenti di ricchezza sopraindicati, sui sistemi economici le conseguenze saranno pesanti e incideranno negativamente per anni a venire. Non tutti i settori produttivi saranno certamente colpiti così duramente come il turismo, l’agro-alimentare, la ristorazione e tutte quelle realtà imprenditoriali già marginali destinate a collassare nel giro di pochi mesi. Anche se la recessione economica farà la gioia dei seguaci delle teorie della decrescita felice e il calo delle emissioni di CO2 quella degli eco-catastrofisti, per tutti i comuni mortali, purtroppo, sarà un conto molto salato, che peserà per diversi anni a venire. Ed è importante sottolineare ancora una volta che il coronavirus è responsabile solo in parte di questa tempesta perfetta, come si dice sui mercati, giacché la fragilità del sistema era già presente prima, probabilmente da alcuni anni: il Covid-19 è stato il “cigno nero”, l’evento inaspettato che ha rovesciato il banco. Ma è solo una concausa: non spiega, da solo, l’ampiezza e la profondità delle discese dei listini.
Il ritorno necessario della famiglia
Visto che tutti noi pagheremo caro e per molto tempo a venire le conseguenze di questa emergenza, occorre cercare almeno di trarre qualche lezione utile, che potrebbe aiutare a ripartire con il piede giusto una volta che la pandemia sarà terminata.
Rendere la famiglia sempre più soggetto economico ed educativo è uno dei punti primi. Se, infatti, ora il sistema non è completamente collassato, è solo grazie all’intensificazione del cosiddetto smart working, il telelavoro, che ha consentito a molte realtà di continuare a fornire servizi importanti. Su questo fronte gli spazi di miglioramento sono amplissimi e ciò consentirebbe di ridurre i tempi persi per recarsi al lavoro, potendo dedicare più tempo alle esigenze della propria famiglia senza compromettere i risultati del lavoro. La chiusura delle scuole insegna poi che dovremmo pensare anche a uno smart schooling, cioè al potenziamento dell’e-learning per dare la possibilità di fruire delle lezioni anche in remoto. Investimenti per superare il cosiddetto digital divide, cioè per migliorare le infrastrutture informatiche del Paese, saranno importantissimi, così come la capacità di far fronte a possibili emergenze improvvise future, assicurando la continuità operativa, il cosiddetto disaster recovery.
Un altro punto fondamentale è la valorizzazione della sanità privata, che sta consentendo di far fronte a un’emergenza senza precedenti. Togliere autonomia alle Regioni e aumentare la spesa sanitaria, come purtroppo invocano in molti, non è la direzione corretta, anzi.
Meno Stato, molto meno
Fondamentale sarà poi abbandonare una volta per tutte l’idea che le iniezioni di liquidità siano la panacea per tutti i mali finanziari ed economici, così come la radicata convinzione che sia lo Stato il motore della crescita grazie a politiche di bilancio in deficit. Il rischio, invece, e purtroppo lo si sente già in questi giorni, è che ancora una volta si punterà tutto sulla liquidità e sull’ampliamento del debito pubblico, cioè su quelle che sono le cause strutturali di questi cicli finanziari ‒ ed economici ‒ di boom&bust, cioè di periodi di crescita artificiale seguiti da violente fasi di sboom. Un altro rischio è che le limitazioni alla libertà e la centralizzazione della gestione della crisi portino a una visione ancora più dirigistica della vita nazionale. Sentire molti commentatori lodare la Cina, portandola a esempio di come si gestisca una crisi sanitaria, è inquietante, anche perché si parla di un regime dispotico, che prima ha cercato di nascondere il problema, contribuendo quindi al suo diffondersi, e poi è intervenuta con la repressione brutale per arrestare il contagio. Ora, tutti capiscono che situazioni di emergenza richiedono misure straordinarie, ma la salute non è l’unico bene da tutelare, esiste anche la libertà.
La crisi in corso insegna che è proprio il centralismo a rendere fragili i sistemi sociali, economici e politici. La decentralizzazione e la sussidiarietà, invece, consentono di portare a modelli di sviluppo più stabili, meglio in grado di adattarsi spontaneamente di fronte a minacce come quella che stiamo vivendo in queste settimane.
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