Gli sdoganatori della pornografia agiscono con sempre più nonchalance e senza contraddittorio. In Italia come in Australia. Un professore dell’Università di Sydney ha infatti pubblicato un articolo dal titolo Quali tipi di pornografia sono salutari per i giovani?.
Alan McKee, docente di Digital e Social Media nella Facoltà di Lettere e Scienze sociali sostiene che, «con la crescente disponibilità di contenuti pornografici, è importante fare tutto il possibile per aiutare i giovani ad alfabetizzarsi sul piano della pornografia, identificando quella che li aiuterà a diventare adulti sessualmente sani e felici».
McKee afferma anche di aver preso contatto, assieme ai colleghi di Facoltà, con una trentina di «esperti di tutto il mondo» per discernere «quali criteri utilizzare per decidere cosa sia definibile “porno sano”». Il professor McKee è del resto già autore di un saggio su «sviluppo sessuale salubre ed educazione all’intrattenimento per una sessualità sana».
Sviluppo sessuale sano?
Gli esperti consultati da McKee sostengono sia opportuna la «negoziazione del consenso» per i contenuti pornografici, inclusa la «dichiarazione esplicita dei desideri sessuali» da parte degli “attori”. Il tutto in nome della trasparenza e per non alimentare alcuna forma di «sfruttamento».
Dopo uno studio «quadriennale» il team di esperti è però pervenuto a conclusioni «parziali e contraddittorie» sugli effetti della pornografia, ma McKee resta invece convinto che i documenti secondo cui «il porno fa male» siano «esagerati».
Perché lo studioso australiano insiste sul fatto che gli studi citati non affrontino affatto lo «sviluppo sessuale sano», il quale invece riguarderebbe «la comunicazione sessuale, il piacere sessuale, il consenso sessuale, l’accettazione della propria identità sessuale e così via».
Gli articoli dello studio, al contrario, conservano un approccio più che prudenziale, ponendo ai consumatori di pornografia domande riguardanti il rischio di infedeltà o di coinvolgimento in pratiche di sesso violento.
Quei “bigotti” dell’UNICEF…
Il sito The Post Millennial riferisce che il professor McKee è anche un «sostenitore della transizione di genere per i bambini». Se vi sia un nesso tra tale convinzione e le affermazioni dello studioso sulla pornografia è comunque tutto da verificare.
Chissà se, invece, McKee, nelle proprie ricerche, abbia preso in considerazione quel rapporto dell’UNICEF in cui si ammonisce che «i contenuti pornografici possono danneggiare i bambini». «L’esposizione alla pornografia in età giovane», afferma l’UNICEF, può determinare «cattiva salute mentale, sessismo e riduzione della persona a mero oggetto, violenza sessuale e altri esiti negativi». Il rischio più subdolo, comunque, sottolinea l’agenzia delle Nazioni Unite, è quello di indurre i minori a considerare i contenuti «abusivi e misogini» della pornografia come «normali e accettabili».
Numerosi altri sono gli studi che dimostrano una correlazione tra la pornografia e lo stupro, ed è altamente probabile che il professor McKee ignori queste fonti o che le consideri scientificamente infondate.
Ma, molto più semplicemente, è evidente come la tutela dell’innocenza dei più piccoli debba prevalere sul piacere (a monte ancora di cosa questo significhi e della sua moralità) degli adulti. E che non sia affatto necessaria la fruizione di contenuti pornografici in età adolescenziale per avere una vita sessuale soddisfacente da grandi. Anzi, l’esatto contrario.