La Polonia di Duda e il nostro «adsum»

Ha vinto il migliore. Adesso tocca a noi

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Domenica 12 luglio il conservatore Andrzej Duda ha battuto al ballottaggio il progressista Rafal Trzaskowski, aggiudicandosi il secondo mandato presidenziale in Polonia, e questa è una grande, grandissima notizia.

Con Duda torna infatti a vincere un’idea di Polonia che pone al centro dell’agire politico i princìpi non negoziabili. Una Polonia dove l’espressione «famiglia» ha ancora il senso naturale che deve avere e non può non avere nonostante i “secondo me”, le filosofie e le maggioranze parlamentari; dove la vita umana è un bene imprescindibile e intangibile, dalla nascita alla morte naturale; e dove la libertà religiosa è il primo diritto politico della persona. E pure dove dire tutto questo non né fuorilegge né marziano.

La “Carta della famiglia” che Duda ha posto al centro della propria sfida elettorale ha convinto i polacchi a riaffidargli il compito di capitanare il Paese, e questo, con i tempi che corrono, non è tanto: è tantissimo.

Chi ha a cuore vita e famiglia, dunque, non può oggi che rallegrarsi per la vittoria meritata e importante di Duda e, con lui, della Polonia vera. Comunque la pensi politicamente, se ha davvero a cuore famiglia e vita, a meno che non anteponga le proprie partigianerie alla verità delle cose. Senza, però, facili illusioni, e questo per almeno tre ragioni.

La prima è perché la politica è da sempre il luogo specifico dei tradimenti di cuore e delle delusioni amorose. Le ragioni ideali non sono fatte per la politica politicante, e mille interessi diversi e confliggenti potranno fare presto a divorare anche l’uomo politico più cristallino. Il quale accamperà mille scuse, fornirà mille ragioni per le proprie giravolte, ma giravolte sempre saranno con il loro bel carico di indegnità. Non è qualunquismo, questo, non è disfattismo. È il realismo che spinge a essere cauti. Per questo stesso realismo dichiariamo dunque subito che abbiamo una voglia matta di sbagliarci di grosso e di farci sbalordire ogni giorno che passerà da Duda, un Duda che sapesse al meglio sorprenderci perché manterrà le promesse in modo cristallino e onesto.

La seconda ragione è perché il coraggioso e grandioso parlamento dei polacchi ha cercato, sfidando il mondo, di varare un disegno di legge che di fatto avrebbe reso l’aborto impraticabile in tutto il Paese, ma poi all’ora X non se l’è sentita di spingere l’acceleratore fino in fondo. Alle latitudini di “iFamNews” la speranza non è persa, e continuiamo a sperare in una reintroduzione ulteriore, al più presto, di quella discussione, ma questo ci fa ancora una volta intendere che fidarsi sia bene ma non fidarsi parecchio meglio. Quantomeno non dare nulla per garantito.

La terza e ultima ragione è il vantaggio comunque molto contenuto con cui domenica Duda ha sconfitto Trzaskowski, indice di un Polonia divisa. La sfida fra Duda e Trzaskowski è ben più del duello fra due uomini politici qualsiasi che si contendono la dirigenza di un Paese: è lo scontro fra due visioni del mondo, tra due concezioni antagoniste della vita. Il fatto che Duda e Trzaskowski siano divisi soltanto da una manciata di polacchi è un segno dei tempi, quei tempi in cui viviamo privi di un’Arcadia, di uno Shangri-La, di uno Shambhala. Eppure il vantaggio di Duda, per risicato che sia, qualcosa di forte lo grida: che una terra franca pur esiste, e che talvolta, per quanto improbabilmente, è persino maggioranza. Questo non giustifica toni trionfalistici, che infatti non assumiamo, ma alimenta una virtù che è specie minacciata di estinzione. La speranza. Affinché la sua scintilla divampi in un incendio c’è bisogno di una cosa sola. Il nostro adsum.

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