La piccola, grande San Marino contro l’aborto

Ai pro-lifer sanmarinesi la vicinanza e il sostegno del Movimento per la Vita Italiano in vista di domenica

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Last updated on Ottobre 3rd, 2021 at 04:28 am

La piccolissima e riservatissima Repubblica di San Marino, incastonata tra Emilia Romagna e Marche, è stata fino a oggi, assieme ad Andorra e a Malta, presidio per la tutela della vita umana nascente mediante il divieto penale di aborto. Tutti gli altri Paesi europei hanno, nel corso dei decenni, introdotto normative favorevoli all’interruzione volontaria della gravidanza. Certo, con alcune differenze tra disciplina e disciplina (per esempio ruolo del medico, autodeterminazione della donna, termini e indicazioni, sistemi per evitare l’aborto), ma con la caratteristica comune di rendere legittima e quindi “giusta” la soppressione degli esseri umani in viaggio verso la nascita, con l’avallo della medicina e del consenso sociale.

Una visione nuova dei rapporti familiari e sessuali, un modo nuovo di pensare alla condizione femminile, i mutamenti del sistema produttivo e il diffondersi di una cultura materialistica nelle varie versioni dell’utilitarismo, dell’edonismo e del libertarismo hanno portato alla legalizzazione dell’aborto, cioè dell’uccisione del concepito prima della sua nascita. Il nostro secolo ha visto una vasta riforma delle leggi sull’aborto, ispirate a una maggiore o minore permissività e giunte persino a creare ampi spazi in cui l’interruzione della gravidanza diviene non solo estranea al diritto penale, ma contenuto di un vero e proprio diritto soggettivo della donna, anzi di un diritto privilegiato, particolarmente garantito e assistito dallo Stato.

Le innovazioni legislative percorrono l’intero mondo della cultura europea a partire dal 1920, data della liberalizzazione dell’aborto in Unione Sovietica. Affermatosi il sistema ideologico e politico comunista dopo la Seconda guerra mondiale in tutto l’Est europeo, anche in quei Paesi, in breve tempo, sono state promulgate riforme che hanno ampiamente legalizzato l’interruzione della gravidanza: del 1956 sono le leggi polacca, ungherese e bulgara, del 1957 la legge cecoslovacca.

Lo tsunami abortista

In Occidente la prima riforma apparve nel Regno Unito (Abortion Act, 1967) e presto rimbalzò oltre l’Atlantico, dove negli Stati Uniti d’America giunse a realizzazione attraverso la sentenza della Corte Suprema federale del 22 gennaio 1973 che obbligò gli Stati a liberalizzare l’aborto in nome del diritto alla privacy. Da qui l’aborto tornò rapidamente in Europa, con le leggi danese (1973), tedesco-occidentale (1974), svedese (1974), francese (1975), italiana (1978), lussemburghese (1978), spagnola (1983), portoghese (1984), olandese (1985), belga (1990), irlandese (2013).

Si tratta di processi legislativi tormentati: la legge unitaria della Germania del 27 luglio 1992 fu ben presto sostituita dalla legge del 21 agosto 1995 in seguito a importanti pronunce della Corte costituzionale. In Polonia il parlamento, nel febbraio 1993, riformò la vecchia legge del 1956 limitando l’aborto a casi particolari, ma partendo dal principio dell’obbligo dello Stato di tutelare fin dal concepimento il bambino non ancora nato, tornando poi però nel 1996 su posizioni permissive, anche se poi la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente incostituzionale quella legge. Intanto negli Stati Uniti la Corte Suprema ha progressivamente mostrato di voler dare alla vita del concepito un qualche peso, senza peraltro sconfessare la decisione del 1973. Si pensi alla recentissima decisione con cui il Tribunale supremo di quel Paese ha rigettato la richiesta di bloccare l’entrata in vigore della legge del Texas che vieta l’aborto oltre la sesta settimana di gravidanza per qualsiasi motivo.

Sovente in queste dinamiche si inseriscono ricorsi alle Corti costituzionali e referendum popolari e vi è chi vi scorge le linee profonde di quel confronto culturale che oppone il materialismo al personalismo. Non è probabilmente un caso che il valore della vita al suo inizio abbia cominciato ad appannarsi nei Paesi del socialismo reale, dove immediatamente è stata imposta l’ideologia del materialismo teoretico, e solo più tardi in Occidente, affetto dalla più lenta ma esiziale malattia del materialismo pratico. In entrambi i casi il personalismo, con l’acuta percezione del mistero presente in ogni essere umano, è in sofferenza.

Anche laddove più lontana nel tempo è l’introduzione negli ordinamenti giuridici dei diversi Paesi dell’interruzione volontaria della gravidanza, frequenti sono i segnali di ripensamento a livello sia culturale sia legislativo, segno, questo, di un disagio che non sa placarsi.

Radicalismo giuridico e turismo abortivo

In questo panorama si inserisce il referendum propositivo sull’aborto che si svolgerà il 26 settembre nella Serenissima Repubblica di San Marino, come stabilito dal Decreto Reggenziale del 13 luglio 2021 n. 129. Il quesito è formulato in maniera molto estensiva: «Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?». La risposta positiva lascia aperta la porta all’aborto legale spinto fino a gravidanza molto avanzata: il legislatore potrebbe infatti dare vita a una normativa molto permissiva – e sono già stati presentati progetti di legge in questo senso – che prevede anche l’accesso delle minorenni all’interruzione volontaria della gravidanza senza il consenso dei genitori e con la forte compromissione dell’obiezione di coscienza. La piccola Repubblica di San Marino potrebbe addirittura diventare un grande punto di riferimento per il turismo abortivo.

Ora, questa consultazione popolare è l’esito di pressioni che da oltre un decennio tentano di giungere alla legalizzazione dell’aborto nel Paese.

Nel 2014 l’Unione donne sanmarinesi (UDS) presentò un disegno di legge permissivo, decaduto solo per la fine della legislatura.

Tra il 2015 e il 2016 sono poi state presentate cinque istanze d’Arengo al Consiglio Grande e Generale con l’obiettivo di introdurre l’aborto volontario. La Federazione europea «Uno di noi» inviò una nota ai Capitani Reggenti e a tutti i Consiglieri del Consiglio Grande e Generale della Repubblica di San Marino chiedendo, con ampia motivazione, il rigetto di tutte le istanze. «Sul piano culturale», era scritto nella nota inviata, «la Repubblica di San Marino, in conformità alle sue origini e alla sua storia, ha un compito di grande importanza: il riconoscimento senza limiti e senza riserve della dignità umana rende grande la Repubblica di San Marino nonostante la sua piccolezza geografica e demografica. San Marino può essere una luce di civiltà che non si spenge e che si irradia anche fuori del suo territorio. Riconoscere il valore della vita umana anche quando essa è piccola, fragile e indifesa, come è quella dei figli non ancora nati, consolida tutta la cultura dei diritti dell’uomo».

Passarono tre delle cinque istanze, ma passò anche un ordine del giorno che chiedeva che la vita umana e la maternità fossero tutelate dal concepimento.

Il dibattito è sembrato poi assopirsi per riaccendersi più di recente, quando, nel 2019 e nel 2021, sono stati presentati due progetti di legge molto permissivi, quelli attualmente pendenti in parlamento: il primo promosso dall’UDS, il secondo – già esaminato dal parlamento in prima lettura – dal Movimento Civico Rete, il partito che detiene la maggioranza nel governo.

La bellezza della vita contro la morte

Ed ecco il referendum popolare. Tutte queste iniziative, compresa ovviamente quella referendaria, si fondano sul rifiuto di rivolgere lo sguardo sul figlio già esistente nel seno materno fin dal concepimento e contrastano in modo particolarmente evidente con il principio di uguaglianza, nonché con l’idea di uno Stato sociale e di diritto.

Il Comitato «Uno di noi» di San Marino, nato proprio per fronteggiare il referendum in nome del diritto alla vita, e il mondo associativo pro-life del piccolo Stato (ricordo per esempio l’associazione «Accoglienza della vita» e l’associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII») si esprimono con vigore a favore della tutela dei bambini non ancora nati e di un’autentica tutela sociale della maternità, sottolineando

Sotto quest’ultimo profilo, torna alla mente un passaggio del parere espresso dal Comitato Nazionale per la Bioetica sull’aiuto alla donna in gravidanza (2005): «L’aiuto alla donna in gravidanza esige […] profili di intervento diversi e complementari, che coinvolgono dimensioni educative, psicologiche, sanitarie e sociali. La relegazione di una donna nella solitudine, sia essa materiale o morale, dinanzi all’impegno della maternità costituisce infatti violazione radicale della dignità umana della donna medesima e del figlio, e nel contempo rappresenta il fallimento dei vincoli solidaristici fondamentali per la convivenza civile».

La laicità della difesa della vita

Il dibattito è serrato e acceso. La riflessione sviluppatasi in seno al Movimento per la vita italiano consente di individuare alcune condizioni che sono alla base di un cambio di direzione rispetto alla richiesta di referendum sanmarinese.

In primo luogo occorre insistere opportune et importune sulla piena umanità del concepito, uno di noi. Su questo punto la cultura abortista è debolissima, tanto da ricorrere alla menzogna, alla censura, all’elusione, al silenzio, all’irrilevanza del dubbio. La stessa capacità istintiva di accoglienza materna viene indebolita se l’ambiente sociale attorno alla madre ripete che l’embrione è soltanto un insignificante «grumo di cellule».

All’identità pienamente umana del concepito si collega la convinzione della laicità del riconoscimento del diritto alla vita dei non ancora nati. L’istanza di tutela della vita nascente acquista tutta la forza attualissima del principio di uguaglianza/non discriminazione solo se il concepito è uno di noi. Su questo la cosiddetta cultura laica” deve essere richiamata alla propria verità e alla propria nobiltà.

La situazione del bimbo che vive è cresce nel grembo della mamma è particolarissima sia per il figlio sia per la madre: non esiste altra fase della vita in cui due esseri umani sono così intensamente uniti in quell’abbraccio prolungato e intimo chiamato gravidanza. È il privilegio femminile per eccellenza quello che lega in modo stretto la donna al tema della vita. La difesa della vita nascente non deve, perciò, prescindere da una sensibilità attenta nei confronti della donna nel senso del sostegno mai giudicante, della condivisione e dell’accompagnamento, in vista della nascita nel caso di gravidanza difficile e non attesa.

Donne, madri

Ma c’è dell’altro. Ferma restando la validità di fondo dei movimenti di liberazione femminile, è necessario promuovere un’operazione culturale che metta sullo stesso piano la “battaglia” per il diritto alla vita dei figli concepiti e non ancora nati con la “battaglia” per l’uguaglianza e i diritti delle donne. Il coinvolgimento della popolazione femminile in questo senso sarebbe di importanza straordinaria.

Lo Stato che rinuncia a punire, non deve rinunciare a difendere la vita. La sanzione penale indica il valore del bene protetto e nello stesso tempo costituisce una minaccia che fa da controspinta alla commissione del reato, ma è il diritto complessivamente considerato che deve proporsi l’obiettivo di tutelare ogni singola vita umana, anche quella concepita, nel modo più efficace possibile in relazione a un determinato tempo e a un determinato luogo. Occorre una verifica puntuale delle condizioni particolari in cui si trova la vita umana da proteggere.

Tutto questo richiede di seguire il metodo della gradualità. Non si può ottenere tutto e subito. D’altra parte il valore in gioco – la vita umana – è così grande che non si può rinunciare a compiere i passi possibili solo perché non si riesce a raggiungere subito un traguardo maggiore. Non si tratta di «male minore» (introduzione, anche piccola, della legittimazione dell’aborto rispetto a un regime di tutela della vita nascente), ma di «riduzione del danno», ovvero di maggior bene possibile (avanzamento, anche piccolo, in un contesto di legittimazione dell’aborto).

Un compito nuovo

Quest’ultima considerazione, porta a riflettere sulla novità dell’impegno per la vita nascente, comunque vada il referendum sanmarinese.

C’è un modo di pensare che rivendica come novità la rottura radicale con il passato. La pretesa di riconoscere l’aborto come “diritto” è l’esempio più marcato, ma si può aggiungere il grappolo dei pretesi nuovi “diritti civili” fondati sull’autodeterminazione a oltranza. Si vuole sostituire il vietato (vecchio) con il permesso (nuovo), cambiando i criteri del giudizio morale e giuridico. Ma il nuovo è da cercare nel “perché” un comportamento sia giusto o ingiusto.

Siamo cioè tutti chiamati a scoprire le ragioni esplicative, il significato, la forza intrinseca del bene da proteggere e a individuare modi nuovi per tutelarlo, se quelli del passato non sono soddisfacenti. Per questo promuovere la dignità della vita umana, a partire da quella concepita, base fondamentale della convivenza civile, è promuovere i diritti umani, il progresso, il rinnovamento generale della società.

Ai pro-lifer sanmarinesi va tutta la vicinanza e il sostegno del Movimento per la Vita Italiano.

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