La guerra in Ucraina e il dramma dei figli dell’«utero in affitto»

Bloccati a Kiev decine, forse centinaia di bambini in attesa delle coppie che li hanno commissionati

carro armato

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La «maternità surrogata», cioè l’altro nome dell’«utero in affitto», è legale e consentita solo in alcuni Paesi al mondo. Meno ancora sono quelli che ammettono che sia svolta a scopo commerciale, in cambio di un compenso in denaro che solo in piccola parte giunge alla gestante, quasi sempre poverissima, per ingrassare invece le organizzazioni e gli enti che fanno da tramite e si occupano di gestire tutto il processo, dal contatto con i futuri genitori sino alla consegna del bambino o della bambina.  L’Ucraina, oggi squassata dalla guerra, è uno di questi Paesi. Lì, il costo della pratica varia da 40 a 60mila euro, la metà di quanto è richiesto per esempio negli Stati Uniti d’America.

Come sempre, in caso di conflitto, fra i civili sono le madri e i bambini a farne le spese, nella migliore delle eventualità con l’insicurezza, la precarietà e la paura, e in questo caso pagano un conto salato anche questi bambini così «speciali».

Neonati nei bunker

Sono decine, più probabilmente centinaia i neonati che, in Ucraina, attendono che le coppie che li hanno commissionati vadano a prenderli, accuditi nei bunker a Kiev. Era già successo a causa del CoVid-19, all’epoca del primo lockdown, quando un grande albergo della capitale era stato adibito a nursery per i piccoli in attesa, ma ora la situazione è assolutamente più grave: non è possibile far uscire i bambini dal Paese, né farvi giungere le famiglie. I piccoli restano in carico alle società che si sono occupati dell’organizzazione della gravidanza e della transazione commerciale, in quella che si configura come una vera e propria compravendita in cui fra l’altro, ma non è certo questo l’aspetto più sconvolgente, l’ammontare della cifra finale continua a salire.

«Non abbiamo mai visto niente di peggio», ha dichiarato a Euronews Next Sam Everingham, «questa è una crisi assoluta». L’ente cui appartiene si chiama Growing Families, ha sede a Sidney, in Australia, e come si legge sul sito web «[…] è un’organizzazione senza scopo di lucro dedicata ai consumatori incentrata sul riunire surrogati, donatori, futuri genitori e famiglie attraverso la rete, condividere le loro storie e rimanere informati sulle migliori pratiche in materia di maternità surrogata e accordi di donazione».

Le madri «portatrici»

Le gestanti ucraine che hanno in grembo i bambini destinati alle coppie occidentali trovano anch’esse un posto nei rifugi antiaerei, oppure vengono fatte sfollare in località non in prima linea, che si sperano meno esposte al rischio di essere bombardate e colpite. È chiaro che tale trattamento è riservato solo a loro, non ai loro mariti o compagni, né certamente ai figli “propri” che queste donne già avessero. Sono questi, forse, bambini meno bambini degli altri, commissionati da coppie occidentali ricche o almeno benestanti. Oppure sono bambini con meno “diritti”.

Altre volte, le gestanti sono spinte a lasciare l’Ucraina per fuggire in Georgia, dove l’«utero in affitto» è ugualmente legale. «Non è moralmente giusto», ha affermato Sam Everingham. «Queste donne non sono “beni mobili”. Devono avere il diritto di prendere le proprie decisioni, non possono essere costrette a trasferirsi. E i genitori e le agenzie [organizzatrici] devono capirlo».

Alcune di queste organizzazioni, agenzie che gestiscono le cliniche per la surrogata e si occupano di tutta la parte gestionale, come per esempio la BioTexCom, che per vie traverse è attiva anche in Italia nonostante nel Paese la «maternità surrogata» e la sua pubblicizzazione siano vietate, affermano anche che è troppo pericoloso portare le madri surrogate e i neonati al confine con la Polonia. Il loro timore è che se i profughi dovessero finire in un Paese in cui l’«utero in affitto» è vietato, come è il caso di gran parte dell’Europa, la madre surrogata sarebbe l’unica riconosciuta come genitore legale del bambino. Fine dei giochi, e degli incassi.

Migliaia di embrioni congelati

Un discorso a parte è poi quello degli embrioni, congelati in Ucraina insieme a ovociti e a campioni di sperma, in attesa di essere impiantati nel grembo di donne disponibili a portare a termine la gravidanza per qualcun altro. La BioTexCom pare stia cercando il sistema e il luogo per trasferirli altrove, in sicurezza, probabilmente in un altro Paese comunque accondiscendente, al sicuro dalla guerra. «Sono più di 3mila le coppie in tutto il mondo che hanno depositato i propri embrioni in Ucraina, embrioni che speravano un giorno sarebbero stati i loro figli, spesso il loro unico figlio», racconta Sam Everingham, il quale aggiunge che «queste famiglie sono devastate. Rivedranno mai quegli embrioni?».

Non sono «grumi di cellule» agli occhi di nessuno, in questo caso, non è vero?

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