C’è un bunker, a Kiev, pronto per i bambini ucraini ogni volta che la guerra fra la Russia e l’Ucraina dovesse assumere risvolti ancora più tragici di quanto si è visto nelle prime ore del conflitto e l’escalation militare divenire insostenibile. Forse, in queste ore in cui nella capitale si combatte e scoppiano le bombe il rifugio si è popolato delle voci e dei pianti dei neonati. Nel bunker sono immagazzinate scorte di pannolini e di latte in polvere e di medicinali e vi sono culle, coperte, viveri, acqua e maschere antigas.
Non sono però bambini qualsiasi quelli cui il rifugio è destinato. Sono i bambini che sono nati o stanno per nascere attraverso la «gestazione per altri», o meglio la «maternità surrogata», o per dirla ancor più chiaramente l’«utero in affitto». E se l’immagine reale di questo bunker, quella che giunge sugli schermi di cellulari e computer, è sconvolgente per la violenza che cela, cioè quella della guerra, l’immagine immaginata che crea nella mente è addirittura distopica, degna di una realtà parallela.
La Biotexecom, che il 21 febbraio ha diffuso il video multilingue per raggiungere e tranquillizzare i propri clienti, ha allestito il rifugio antiaereo per questi neonati, per le coppie che sono arrivate in Ucraina per portarli a casa, principalmente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Australia, e per le gestanti che partoriranno altri bambini destinati al medesimo mercato. La clinica è specializzata nella fecondazione assistita e si dichiara leader del settore.
L’escamotage giuridico italiano
Sul sito web italiano campeggia su fondo rosso-allarme un disclaimer che avvisa del fatto che «la maternità surrogata e ogni sua forma di pubblicizzazione è vietata in Italia e che questo sito web è di un DIPARTIMENTO INDIPENDENTE che si occupa esclusivamente di FECONDAZIONE ASSISTITA OMOLOGA ED ETEROLOGA, unici trattamenti consentiti in Italia». Maiuscoli compresi. Eppure è questo che la Biotexcom fa, anche per le coppie italiane, tanto al rientro in Italia una sentenza del tribunale, con un poco di pazienza, sistemerà le cose, nonostante apparentemente la Corte costituzionale italiana la condanni perché «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», come si legge nella sentenza n. 272/ 2017, confermata dalla n. 33/2021. Si ricorderà del resto il caso “clamoroso”, avvenuto pochi mesi fa, della bimba generata tramite «maternità surrogata», proprio in Ucraina, abbandonata dalla coppia italiana committente, che dopo averla affidata alle cure di una baby-sitter locale si è completamente disinteressata di lei
La risoluzione di Strasburgo
Secondo il protocollo della clinica, in ogni caso, consulti e primi colloqui avvengono in loco, il resto della procedura in Ucraina, uno dei pochi Paesi al mondo a consentire la «maternità surrogata» dietro compenso in denaro. Gli altri sono gli Stati Uniti d’America, la Grecia, la Georgia, il Canada e la Russia.
Si tratta di una transazione commerciale che in alcuni Stati è perfettamente lecita e non pone alcun problema giuridico, benché condannata dal Parlamento Europeo con la risoluzione del 17 dicembre 2015, in quanto, come si legge al punto 115 della Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell’Unione europea in materia, «compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce».
Nel medesimo documento il parlamento di Strasburgo inoltre riteneva «che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani». E la situazione descritta, quella di un Paese in ginocchio che affitta uteri per sopravvivere, è esattamente ciò che avviene in Ucraina.
Una “semplice” compravendita
Lo sintetizza bene la giornalista Caterina Giojelli in un articolo sul quotidiano online del mensile Tempi, commentando proprio il video della Biotexcom. «È un video da matti», scrive, «specchio di un Occidente che pensando alla guerra in Ucraina guarda alla protezione del suo mercato, non solo quello energetico, e specchio di come l’Ucraina guarda l’Occidente. Un popolo di ricchi sfruttatori a cui offrire la sicurezza dei loro interessi, custoditi come bambini in un malandato bunker di Kiev».
Un video, per altro, in cui ciò che viene sottolineato, oltre al mantra della sicurezza, è che la clinica assicura la prosecuzione delle attività di «maternità surrogata», esplicitando la propria gratitudine ai clienti che pure nella situazione grave stavano «[…] confermando il trasferimento degli embrioni», da effettuarsi nella capitale ucraina.
Né «iFamNews» si stupisce che di puri denari si tratti, di committenti e venditori che si preoccupano semplicemente di proteggere i propri investimenti. Era già emerso in passato, nell’Hotel Venezia, sempre a Kiev, in cui sono stati parcheggiati decine di bambini nati da «utero in affitto» durante il primo lockdown, quando le coppie che li avevano commissionati non potevano lasciare i Paesi d’origine per andare a prenderseli, a causa delle restrizioni dovute al CoVid-19.
E ancora pochi giorni fa, si è raccontato dei 14 piccoli e delle coppie irlandesi cui sono destinati, per i quali si stava “trattando” la modica cifra supplementare di 88 euro al giorno ciascuno, da corrispondere alla tata che in Ucraina si occupasse dei neonati, nell’attesa che i venti di guerra si placassero e le coppie potessero raggiungerli. Chissà, ora che i carri armati hanno passato il confine e scoppiano le bombe, se saranno anche loro nel «bunker dotato di tutti i comfort», insieme agli altri, oppure no.
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