Last updated on Maggio 28th, 2020 at 12:25 pm
La pandemia da CoViD-19 è una tempesta che coinvolge tutti, ma alcuni resistono meglio di altri. Uno studio pubblicato da Christos Makridis, della Sloan School of Management del Massachusetts Institute of Technology di Boston, e da Cary Wu, della York University di Toronto, in Canada, osserva le differenze di capitale sociale in diverse contee negli Stati Uniti indagando la possibilità che contribuiscano a spiegare le differenze nella gravità e nella diffusione dei contagi del coronavirus. Sono stati dunque impiegati i dati raccolti in oltre 2.700 contee, «mettendo in relazione il numero dei contagi e la crescita delle stesse su base settimanale tra marzo e aprile con il loro capitale sociale, secondo le misurazioni del Comitato economico congiunto (JEC). L’indice del capitale sociale è calcolato in funzione di numerosi indicatori quali l’unità della famiglia, l’interazione familiare, l’aiuto sociale, lo stato di salute della comunità, quello istituzionale, l’efficacia della realtà comunitaria e la propensione alla filantropia». In breve, il capitale sociale misura il grado di fiducia e di solidarietà all’interno di una comunità, inclusa la forza delle famiglie.
Da un lato un capitale sociale maggiore potrebbe indicare a un numero di interazioni tra le persone superiore, dunque una maggiore probabilità di trasmissione del virus. D’altro canto un maggiore capitale sociale potrebbe indicare un’igiene migliore, risposte più efficaci nel tentativo di ridurre il contagio e un rispetto maggiore del distanziamento sociale. Che effetti ha, dunque, il capitale sociale e quello familiare nella diffusione del virus?
La ricerca fornisce prove quantitative del fatto che le contee con livelli più elevati di capitale sociale sono negativamente correlati ai contagi e alla loro crescita media su base settimanale: cioè maggiori sono la stabilità familiare e le relazioni familiari e comunitarie, e più diminuisce la diffusione del virus. «In particolare», sintetizza lo stesso Makridis, «spostare una contea dal 25° al 75° percentile della distribuzione del capitale sociale porterebbe a un calo del 20% nel numero di infezioni da coronavirus, nonché a un calo di 0,28 punti percentuali del tasso di crescita del virus (o a quasi il 20% del tasso di crescita medio), anche dopo aver controllato i dati demografici (ad esempio, la densità di popolazione)».
Sapere che il capitale sociale è importante per mitigare gli effetti della pandemia è però solo il primo passo: è infatti necessario capire anche se determinate politiche e caratteristiche sociali comunitarie contino nella dinamica del contagio. Importante fattore determinante del capitale sociale è la struttura familiare, e in effetti concentrarsi sul ruolo che le famiglie stabili svolgono nel mitigare l’infezione indica un’associazione negativa ancora più forte con il virus. Ebbene, le comunità ad alto capitale sociale e ad alta stabilità familiare mostrano una diffusione del virus minore del 40% rispetto alle altre. La ricerca evidenzia inoltre, osserva lo studioso del MIT, che a ogni «aumento di un punto percentuale nel numero di famiglie sposate nelle contee esaminate è associato a un declino di quasi il 4% delle infezioni e a un calo di 3 punti percentuali del loro tasso di crescita».
Benché si tratti della prima ricerca in questo ambito di indagine, ciò che emerge dallo studio di Makridis e Wu è impressionante: è la conferma evidente dell’importanza delle famiglie nell’affrontare un dramma come una pandemia. Il matrimonio svolge un ruolo clamoroso come fattore di superamento del disastro. Fingere che non sia così o, come è avvenuto in Italia, dimenticare le famiglie nella «Fase 2», è una incompetenza palese oltre che rimarcare un pregiudizio incivile.
Commenti su questo articolo