Last updated on aprile 14th, 2020 at 10:11 am
È di qualche giorno fa la notizia di una sentenza della Suprema Corte italiana, la n. 7668 (udienza del 23-9-2019, depositata il 3-4-2020), con cui i giudici di legittimità hanno bocciato la richiesta di una coppia omosessuale di rettificare l’atto di nascita di una bambina avuta da una delle due donne a seguito di fecondazione artificiale avvenuta all’estero, in modo da attribuirle lo status di figlia anche della partner, “genitrice intenzionale”.
La Corte ha infatti ribadito che alle tecniche di procreazione medicalmente assistita possono accedere solo le coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi. E ciò, non per un capriccio del legislatore, ma perché, a differenza dell’adozione, che serve per dare una famiglia al minore che ne è privo, nella procreazione medicalmente assistita si tratta di dare un figlio a una coppia che non può averne. E, pertanto, «non è irragionevole che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni “di partenza”». E le migliori condizioni di partenza per un bimbo chiamato alla vita coincidono con il diritto ad avere una mamma e un papà, cosa che, per la verità, e in questo è il punto debole della pronunzia, dovrebbe valere anche in materia di adozione.
I giudici aggiungono pure, ribellandosi al principio del fatto compiuto, che «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all’estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità alla Costituzione». Ebbene, questo principio vale, a maggior ragione, per il divieto, tuttora vigente nell’ordinamento giuridico italiano, di ricorrere alla maternità surrogata: se un atto è disdicevole in sé, è ancor più disdicevole premiare chi il divieto lo aggiri perché è più furbo o è facoltoso. Né vale addurre, a giustificazione del riconoscimento della genitorialità in capo a chi ha eluso il divieto, la tutela del minore, perché quest’ultimo merita di essere tutelato nel modo migliore, a cominciare dal dargli dei genitori che rispettano la dignità delle donne.
C’è poi un altro punto che viene toccato dalla Corte ed è quello relativo al diritto alla genitorialità, che non può essere rimesso all’autodeterminazione assoluta degli interessati, anche con riferimento alle modalità. La procreazione medicalmente assistita non può, in altri termini, rappresentare una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale.
In definitiva, pur con qualche riserva sul grado di resistenza dell’argine posto, un ostacolo alla diffusione delle conseguenze dell’ideologia gender sembra comunque derivare da questa pronunzia. Si può decidere di volere di che sesso essere, anche se non si cambia quello biologico, ma se si vuole diventare genitore, occorre rispettare la legittima (e naturale) aspettativa del bimbo chiamato alla luce di poter contare su una mamma ed un papà che siano tali all’anagrafe e nella vita vera.