La Corte Costituzionale spagnola conferma la legge sull’aborto di Zapatero tredici anni dopo

Siamo alla manifestazione chiara della politicizzazione della giustizia a fine elettoralistici, visto che tra qualche mese si voterà per le elezioni parlamentari in Spagna.

La Corte Costituzionale (TC) ha dichiarato la costituzionalità definitiva della legge sull’aborto approvata dal governo di José Luis Rodríguez Zapatero nel 2010, con una sentenza approvata martedì 9 maggio in seduta plenaria, in cui si respinge il ricorso del PP, sancendo l’aborto come un “diritto” della donna che può essere richiesto alle amministrazioni pubbliche. Dopo 13 anni dalla liberalizzazione dell’aborto facile, la Corte Costituzionale, con i nuovi membri nominati dal governo socialcomunista del Primo Ministro Sanchez, ha confermato la legalità di quella norma.

Secondo fonti trapelate nelle ultime ore di martedì, la norma giuridica è stata sostenuta da una maggioranza di 7 magistrati – quelli del blocco progressista – contro 4 – quelli dell’ala “conservatrice” della Corte. I quattro magistrati “conservatori” hanno annunciato un voto contrario per dissociarsi dalla sentenza, così la plenaria della Corte ha approvato la relazione redatta dalla vicepresidente del TC, Inmaculada Montalbán. Questa legge del 2010 aveva portato all’implementazione del sistema dei limiti temporali, stabilendo un limite di 22 settimane per poter abortire. Ora, secondo il TC si stabilisce l’aborto come “diritto” della donna. Non come nuovo diritto fondamentale, spiegano, ma come parte del diritto all’integrità personale e, in questo senso, alla libera autodeterminazione, seguendo la linea tracciata nella sentenza sulla legge sull’eutanasia.

Come in quella sentenza, la Corte Costituzionale le attribuisce un contenuto di servizio per garantire che l’esercizio di questo “diritto” possa essere richiesto alle amministrazioni pubbliche.  La sentenza redatta da Montalbán rappresenta un approccio nuovo, la nuova relazione non nega i diritti del nascituro, ma dà maggiore importanza a quelli della donna, oltre che al suo benessere. I quattro magistrati conservatori, Enrique Arnaldo, Ricardo Enríquez, César Tolosa e Concepción Espejel, hanno preso le distanze dalla sentenza perché la decisione presa dalla maggioranza  “supera gravemente…l’ambito e i limiti del controllo giurisdizionale che corrisponde alla Corte”. Infatti la sentenza discute una legge del 2010, già più volte modificiata da altre norme ed, “eccedendo l’ambito e i limiti del controllo di costituzionalità che corrisponde a questa Corte”, il testo approvato “arriva a riconoscere un nuovo diritto costituzionale”, che si chiama “diritto della donna all’autodeterminazione in materia di interruzione della gravidanza”: un diritto puramente inventato e che non trova nessun appiglio negli articoli della Costituzionale Spagnola.

Il riconoscimento di nuovi diritti fondamentali è un potere del potere costituente, non dei poteri costituiti e quindi non della Corte costituzionale, né del semplice voto a maggioranza del Parlamento. Questa è un ovvietà per qualunque studente del primo anno impegnato nell’apprendimento dei principi fondamentali del diritto pubblico e costituzionale del proprio paese. Inoltre, il diritto in quanto tale , sia ciò che facciamo derivare dal diritto naturale, sia il diritto positivo, si impone nella società e civiltà democratica come strumento per proteggere la generalità dei più deboli nei confronti dei più forti o dello stesso Stato. Con questa decisione, purtroppo frequente in molti paesi governati dalle forze politiche liberali, socialiste e comuniste, i più deboli (bimbi concepiti e nascenti) sono invece sacrificati sull’altare del diritto del più forte, in questo caso la madre. Questo segna il contrario della evoluzione sociale e civile delle società occidentali, giustificando e rafforzando il diritto del più forte nei confronti del debole. Una infamia ‘socialcomunista’ che mette in pericolo la tenuta democratica e la civiltà giuridica e culturale spagnola.

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