Due cittadini italiani, omossessuali, “sposati” in Canada, “hanno un figlio”: cioè con loro vive un bambino nato ovviamente da una donna e poi acquisito dalla coppia attraverso la pratica dell’«utero in affitto». Mentre la legge canadese riconosce loro questa possibilità, quella italiana la nega. Per questo il Comune di Verona ha rifiutato di trascrivere in Italia l’atto anagrafico che certifica la nascita all’estero di quel bambino nato mediante «maternità surrogata», ovvero di riconoscere l’atto con cui il Paese nordamericano dichiara quelle due persone dello stesso sesso «genitori» del piccolo. La coppia ha dunque fatto ricorso, la Corte d’appello di Venezia lo ha accolto, ma il ministero dell’Interno e il sindaco di Verona hanno successivamente impugnato la sentenza, che così è finita davanti alla Corte di Cassazione. In aprile, poi, la prima sezione civile di quell’assise ha trasmesso gli atti alla Consulta costituzionale, dubitando appunto della costituzionalità di alcune norme, in primis la legge sulla fecondazione assistita. Ebbene, ieri la Consulta ha stabilito che al giudizio di legittimità su quel caso non potrà partecipare anche la donna che ha partorito il bambino. Cioè, la madre del piccolo. La madre, come che sia quel contratto, e quant’altro, che hanno regolato la gravidanza, il rapporto fra la donna che l’ha condotta per conto terzi, i suoi committenti omosessuali incapaci per natura di generare fra loro un bambino e la nascita appunto di quel bambino.
Si leggeranno le motivazioni a tempo debito, i giuristi faranno il proprio mestiere (diverso dal mio), ma così facendo ieri la Consulta ha oggettivamente stabilito due princìpi.
Primo, per contribuire a dirimere questioni così hanno voce in capitolo solo gli acquirenti di un bambino e non la venditrice. Qualunque cosa, cioè, la madre biologica di quel bambino avesse intenzione di dire sul caso, non potrà essere ascoltata. Il 27 gennaio, giorno in cui la Consulta ha fissato il giudizio, la mamma biologica di quel piccolo avrebbe potuto sostenere le ragioni della coppia omosessuale “sposata” in Canada oppure le ragioni della legge italiana, ma, come che sia, scomparirà completamente dalla vista, come se non fosse mai esistita. Chi, come “iFamNews”, difende la famiglia naturale basata sull’unico matrimonio possibile, quello fra un uomo e una donna, del resto l’unico potenzialmente fecondo, potrebbe salutare con favore la decisione della Consulta di estromettere la madre biologica del bambino in questione nel caso la donna avesse in animo di dare ragione alla legge italiana, oppure a rallegrarsi sarebbe chi ritiene che la famiglia sia qualunque cosa uno abbia in mente possa essere nel caso la donna avesse in animo di dare ragione alla coppia omosessuale “sposata” in Canada, ma ciò che non muta in alcun caso è il fatto che il genitore biologico di un essere umano (magari l’unico, nel caso di una coppia di omosessuali maschi che avessero, per qualunque ragione, deciso di affittare un utero femminile per fecondarlo con il seme di un uomo terzo) non conta nulla davanti a una coppia (magari appunto del tutto, e non solo parzialmente, estranea a quella generazione) che decidesse di estrometterla.
Il secondo principio stabilito ieri dalla Consulta è che (ovvia conseguenza del primo) la generazione di un bambino prescinde dai genitori biologici, almeno da uno. Ovvero si può essere genitori senza generare. Lo stabilisce la legge italiana, sancendo la nascita della “gravidanza di desiderio”. Si dirà che è già così nel caso dell’adozione. Non è vero. L’adozione non nega la generazione, potenziale, possibile, attuale. La “gravidanza di desiderio”, invece, scavalca a priori la generazione biologica, cercando altri modi. Non lo può fare completamente, giacché, comunque sia, la vita si genera in un solo modo, sempre e solo eterosessuale, ma fa di tutto per scovare alternative. Rivoluzionarie.