Last updated on Febbraio 15th, 2021 at 08:29 am
Imran è un ragazzino di 14 anni che vive a Pabna, in Bangladesh. Passa le giornate al chiuso di una fabbrica, alle prese con tessuti e macchine per cucire. È un salariato giornaliero. Ma fino a marzo, prima che il CoVID-19 sopraggiungesse anche nel suo Paese, Imran era uno studente. Poi, causa pandemia, la sua scuola ha chiuso e ha trasferito le lezioni sui device. La sua famiglia è poverissima, non può permettersi né un pc, né un tablet e nemmeno uno smartphone o persino un televisore; così Imran è stato costretto a rinunciare allo studio e si è dato alla fatica di un lavoro usurante.
Famiglie sempre più povere
Quella di Imran è una storia di fantasia, ma rappresentativa di una realtà. Il problema dell’aumento del lavoro minorile in Bangladesh per via della «Dad», l’oramai famosa «didattica a distanza», è stato affrontato dal portale UcaNews. Uno di questi adolescenti che hanno abbandonato gli studi afferma: «Ho visto la sofferenza di mio padre nel gestire la famiglia. Eppure ci ha mandato a scuola nonostante le difficoltà. Volevo lavorare e aiutarlo, ma non era d’accordo. Solo dopo la chiusura della scuola mi ha permesso di lavorare». Il virus ha inferto un altro colpo alla precaria situazione economica del Bangladesh, tanto che molti nuclei familiari, già miseri, hanno visto nel lavoro dei figli piccoli una triste, ma necessaria risorsa.
I dati
Sarebbero migliaia i bambini indigenti del Bangladesh costretti a rinunciare agli studi a causa della pandemia. Secondo il rapporto Interim Education Watch 2020-21 dell’Ong Campaign for Popular Education (CAMPE), il 69% di centinaia di studenti presi in esame non ha partecipato alle lezioni a distanza e il 57,9% ha dichiarato di non aver potuto partecipare a causa della mancanza di dispositivi elettronici. «I programmi di apprendimento a distanza, in generale, rimangono inefficaci. Gli studenti hanno affermato di non avere tv, portatili, computer e smartphone», ha detto al Daily Star Mostafizur Rahaman, uno degli autori dello studio. E circa il 25% degli insegnanti teme un’ulteriore impennata di abbandoni scolastici.
Pressioni sul governo
Il rapporto rileva inoltre che il 75% degli studenti vorrebbe tornare a scuola il prima possibile, mentre l’80% dei funzionari delle Ong che si occupano di istruzione sta facendo pressioni sul governo affinché sia garantito il diritto all’apprendimento dei minori. Le autorità del Bangladesh hanno chiuso tutte le scuole di ogni ordine e grado il 17 marzo. In questi mesi le chiusure sono state prorogate di volta in volta e l’ultima decisione, che risale alla scorsa settimana, ha decretato la chiusura fino al 14 febbraio. Il direttore della Ong CAMPE, Rasheda K. Chowdhury, ha dichiarato a UcaNews: «È evidente come gli studenti vengano danneggiati, quindi che insegnanti e genitori vogliano vedere riaprire presto scuole e università. Il governo deve prendere una decisione rapida, altrimenti gli studenti continueranno a subire danni». L’idea delle autorità è riaprire gradualmente, tra la seconda metà di febbraio e la prima di marzo.
Peggio nelle aree rurali
Ma un anno senza scuola rappresenta un disastro sociale ed educativo. Ranjan Purification, preside di una scuola cattolica, la St. Mary’s Junior School, nel distretto di Bandarban, ritiene che la situazione nelle aree rurali sia persino peggiore di quella fotografata dal rapporto. Gli insegnanti della sua scuola hanno fatto di tutto per coinvolgere gli studenti dopo le chiusure, sono anche andati a tenere lezioni a casa, ma Purification teme che il 10-15% degli alunni possa abbandonare. «Se i dati sono veri», ha commentato Jyoti F. Gomes, segretario del Bangladesh Catholic Education Board Trust, «penso sia meglio aprire al più presto tutte le istituzioni educative». Al più presto, prima che la «nuova normalità» compia danni irreparabili.
Image source: Child student Bangladesh, photo by GMR Akash from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC BY-SA 3.0