Invece di parlare, a sproposito, di «salute riproduttiva» per la donna, che a loro dire dovrebbe essere libera e anzi quanto più possibile facilitata ad accedere all’aborto, meglio ancora se farmacologico con l’aiuto di un paio di pilloline recapitate direttamente a domicilio, le lobby filoabortiste dovrebbero piuttosto prendere nota di quanto afferma l’Health Service Executive (HSE), l’agenzia governativa che in Irlanda si occupa di fornire i servizi sanitari pubblici, negli ospedali e nelle comunità di tutto il Paese.
In risposta a un’interrogazione parlamentare avanzata il mese scorso da Carol Nolan, deputato nella Camera bassa del parlamento per il collegio del Laois-Offaly, il servizio sanitario irlandese ha rilasciato infatti una dichiarazione preoccupante.
L’«aborto domiciliare fai-da-te attraverso pillole abortive assunte senza consultazione faccia a faccia», introdotto inizialmente come misura temporanea per far fronte alle richieste di cessazione della gravidanza durante l’epoca del lockdown dovuto alla pandemia, è tuttora legale e in vigore in Irlanda, così come anche nel Regno Unito. Lo HSE ora afferma che tale sistema di «telemedicina» sia stato un «successo», ma ha ammesso che, in realtà, questo schema è soggetto ad «abusi».
La Nolan ha chiesto nello specifico quali misure siano in atto per «[…] verificare l’epoca gestazionale di una donna che cerchi di abortire in base alle attuali disposizioni temporanee di telemedicina, per assicurarsi che sia entro il limite gestazionale previsto dalla legge» e già questa domanda ha sollevato un certo imbarazzo, essendo come ovvio piuttosto difficile seguire il percorso della «kill pill» una volta imbucata nella cassetta della posta, fra le bollette e le riviste in abbonamento.
L’aborto «fai da te», inoltre, che rimuove l’aborto dal contesto clinico e consente alle donne di abortire senza neppure vedere un medico faccia a faccia, aumenta la possibilità di eventi avversi per la salute della madre, specie qualora il farmaco sia assunto in una fase avanzata della vita del bambino nel grembo.
Infine, ammette lo HSE, «l’incontro di persona con la donna [che chieda di abortire] aumenta la probabilità che il fornitore identifichi qualsiasi coercizione o abuso domestico», proteggendo cioè la donna dal rischio di subire un aborto contro la propria volontà, costretta per esempio da un compagno violento o da una figura abusante.
Ce n’è più che abbastanza per affermare che no, l’aborto farmacologico che arriva per posta non tutela la «salute riproduttiva» delle donne, la mette invece a repentaglio e mette a repentaglio la loro sicurezza. Oltre, ovviamente, a uccidere i loro bambini. E non lo dice qualche attivista pro-life considerato invasato e bigotto. Lo dichiara lo stesso Servizio sanitario irlandese che l’aborto lo fornisce e lo pratica.
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