In aprile, la Corte costituzionale dell’Ecuador ha concesso la propria approvazione alla legalizzazione dell’aborto nel caso in cui la gravidanza sia conseguenza di uno stupro, dando mandato all’Assemblea nazionale di legiferare tempestivamente in tal senso.
Gli attacchi del 2013
In precedenza, dal 1938, la cessazione della gravidanza nel Paese è stata limitata ai casi in cui la vita della madre sia a rischio o quando la donna, vittima di stupro, soffra di disabilità mentale. Infatti, come scriveva «iFamNews» tempo fa, «[…] l’articolo 45 della Costituzione difende la vita sin dal concepimento. E il Codice penale vieta severamente l’interruzione volontaria di gravidanza. Il Paese andino resiste da anni ai tentativi di ammorbidire questa posizione antiabortista. Nel 2013 l’allora presidente Rafael Correa, esponente bolivarista ed ex seminarista cattolico, aveva minacciato di lasciare la presidenza della repubblica qualora i parlamentari del suo partito, Alianza País, avessero approvato l’aborto al Congresso. “Per difendere la vita sono pronto a dimettermi e la storia saprà giudicarmi”, aveva dichiarato solennemente Correa, le cui minacce sono rimaste tali, giacché l’aborto non è passato».
Di nuovo, nel 2019
Ancora nel 2019 «[…] si è registrato un nuovo tentativo di introdurre l’aborto nella legislazione ecuadoriana. Il parlamento ha discusso un testo finalizzato a depenalizzare tale pratica nei casi di incesto, stupro e malformazione del feto. La riforma, per passare, avrebbe dovuto avere il voto favorevole di almeno 71 deputati, cioè la maggioranza assoluta dell’assemblea. Ma il sostegno all’aborto si è fermato a quota 65, mentre i voti contrari sono stati 59. Sette gli assenti».
Nel 2020, interviene l’ONU…
Nel 2020, però, in piena pandemia di CoVid-19 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha sferrato un attacco particolarmente odioso e «[…] ha proposto all’Ecuador un “Piano anti-Covid19” che prevede l’”aborto sicuro e legale” come condizione, necessaria e sufficiente, per ricevere aiuti internazionali pari a 46,3 milioni di dollari. Nonostante l’ONU abbia negato qualsiasi tipo di interferenza nelle legislazioni nazionali su questo tema, il Piano in questione dimostra il contrario. In un passaggio si chiede che il Paese sudamericano promuova “l’accesso agli anticoncezionali, inclusi anticoncezionali d’emergenza, e l’aborto sicuro legale”».
Missione (di morte) compiuta
Meno di due anni dopo, dunque, precisamente giovedì scorso, nel contesto di un più ampio dibattito il parlamento monocamerale di Quito questa volta ha approvato il disegno di legge che consentirà a donne e ragazze di accedere all’aborto in caso di stupro, con 75 voti favorevoli, 41 contrari e 14 astenuti.
Sarebbe ancora possibile che prima di entrare definitivamente in vigore come legge la normativa sia bloccata dal presidente Guillermo Lasso, eletto nel maggio 2021, primo presidente di centro-destra dopo quasi due decenni. Lasso ha affermato però che, benché personalmente non sostenga l’aborto, consentirà il prosieguo della procedura purché i legislatori non vadano oltre quanto stabilito dalla Corte costituzionale.
La nuova legge
Le donne di età superiore ai 18 anni, se la gravidanza fosse conseguenza di violenza sessuale, potranno pertanto abortire sino alla 12esima settimana di vita del bambino nel grembo materno, mentre le adolescenti e le ragazze minorenni, ma pure le donne adulte appartenenti a gruppi indigeni o che vivono nelle zone rurali più arretrate del Paese, avranno la possibilità di farlo fino alla 18esima settimana.
È importante notare, però, che per accedere all’aborto la madre non sarà costretta a denunciare lo stupro alla polizia, ma dovrà semplicemente compilare un «modulo di consenso informato», rendendo così la cessazione della gravidanza potenzialmente accessibile, pure nei tempi stabiliti, a chiunque desiderasse servirsene, per qualsivoglia motivo.
Sebbene il sistema sanitario sia tenuto a «fornire la procedura», i singoli medici, bontà del governo, potranno appellarsi all’obiezione di coscienza per non essere costretti a uccidere un bambino nel grembo materno.
Le reazioni nel Paese
«La vita non può essere negoziata», ha affermato Paul Garcia, attivista pro-life, durante le proteste che si sono tenute fuori dalla sede dell’Assemblea a Quito. «Vogliono uccidere un’altra vittima nel grembo della madre».
Neppure tanto però ha accontentato associazioni e gruppi abortisti del Paese, che lamentano il fatto che i limiti di tempo siano troppo restrittivi e costringerebbero le donne a continuare a ricorrere all’aborto clandestino, talvolta a rischio della vita. «L’Assemblea ha deluso ancora una volta ragazze, donne, sopravvissute e vittime di violenze sessuali», ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters Sarahi Maldonado, del collettivo femminista Las Comadres, fuori dal palazzo di avenida 6 de Diciembre y Piedrahita. Alle vittime degli aborti, i bambini, invece, come al solito non bada nessuno.