Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:35 pm
Il caso di Keira Bell, la 23enne di Manchester che voleva diventare maschio, ma che, pentitasi, il 2 dicembre 2020 si è vista riconosciuta i propri diritti dall’Alta Corte di giustizia britannica, dirime e redime – come diceva T.S. Eliot (1888-1965) in Mercoledì delle ceneri – il tempo in cui viviamo.
Ha fatto una scemenza a 16 anni, Keira, ma dopo si è accorta che era una grossa scemenza. Ha quindi deciso di rimediare e adesso chiede conto a chi aveva il dovere deontologico e morale di non acconsentire a quella sua scemenza enorme, ma non lo ha fatto. Keira ha infatti mosso causa alla clinica Tavistock, dove, a 16 anni, dopo soli tre appuntamenti di un’ora, le vennero prescritti agenti bloccanti della pubertà e quindi somministrate dosi massicce di testosterone chimico perché lei, femmina, si era ficcata in testa di diventare maschio.
Gli adulti hanno il dovere di vegliare su chi adulto non è. Hanno quel dovere perché hanno esperienza maggiore, perché hanno compiuto tratti di vita più lunghi, perché riescono, almeno in parte, a intravedere ciò che i più piccoli, per ragioni di statura, non riescono nemmeno a immaginare. No, non c’è un’età in cui il DNA varca la soglia e da piccoli si diventa adulti. Le leggi dei Paesi fissano solo delle convenzioni che servono agli Stati per lasciarci guidare, votare, bere e un altro paio di cose, ma tutti sappiamo di non essere affatto adulti quando attraversiamo il confine posticcio di quella estenuante guerra di posizione.
Adulti non si è quando si riesce a fare da sé, giacché vorrebbe dire mai, bensì quando si diviene consapevoli di non bastare a se stessi. Prima, quando si pensa di non avere bisogno di alcuno e di sapere fare tutto e di sapere sopportare tutto, ci si crede adulti senza esserlo.
Passeggiavo in un’altra via Paolo Sarpi, a Milano, ai tempi dell’università, e una mia compagna di studi del tempo, ovviamente più avanti come lo sono sia proverbialmente sia mediamente le ragazze dei ragazzi, passando davanti a un giurassico cinema a luci rosse gettò un’occhiata alle insegne ammiccanti il tempo sufficiente per sibilare «Film per adulti. Sì, “per adulti”…». Quell’insegnamento mi si è appiccicato alla pelle allora e ancora non si scolla. Quello di «adulto» è un gallone che ci si deve conquistare sul campo: non è roba da graduatorie ministeriali a punti.
La femmina Keira che sognava di diventare maschio adulta non era e gli adulti che aveva attorno erano delle sagome di cartone. L’hanno lasciata fare, cinici e interessati e disinteressati. L’hanno lasciata perdere, come un vuoto che non vale nemmeno i centesimi del reso. L’hanno lasciata navigare a vista, sballottare sui marosi, naufragare senza compagni, infrangersi su scogli appuntiti. Il processo che ora Keira invoca farà il suo corso, ma adulti di cartapesta come quelli che l’hanno gettata in acqua sono moralmente e culturalmente colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio di tribunale.
A Keira si doveva dire «no» e invece si è detto un «sì» maledetto. Non è vero che “i giovani debbono fare le proprie esperienze”. Se fosse vero, il mondo darebbe fermo all’età della pietra senza avere progredito nemmeno di un passo da formica, come si diceva quando nei cortili di giocava a Regina, reginella. Piuttosto ai giovani si debbono mettere di fronte le esperienze passate così che ne facciano loro esperienza, così che ne facciano esperienza propria.
Bernardo di Chartres, vissuto nel secolo XII, disse «siamo come nani sulle spalle di giganti». Ce lo riferisce il Metalogicon di Giovanni di Salisbury (1120-1180) e ne han fatto tesoro tutti, persino il “moderno” Sir Isaac Newton (1643-1727), ma quella massima sarebbe vacuo esercizio di intellettualismo, anzi una baggianata vera e propria se non fosse forgiata nel crogiolo del rapporto tra genitori e figli, tra fratelli o cugini maggiori e minori, tra amici più grandi e più piccoli.
Keira doveva essere fermata, e l’averlo fatto non sarebbe stata prevaricazione, bensì carità. Invece la si è lasciata giungere al precipizio e, quando Keira si è voltata indietro per un ultimo inconsapevole disperato estremo aiuto, le si è fatto lo sgambetto, fischiettando con gli occhi all’insù.
Adesso sì, Keira è adulta, marcata a ferro e fuoco da esperienze che adulti falsi le avrebbero dovuto risparmiare. In piena e avvertita coscienza, e ripetute volte, ora sa essere proprio sacrosanto diritto chiedere conto alle sagome e al cartone della Tavistock. Il suo caso sarà il gigante su cui tutti i nani di domani sederanno, quando gli adulti a luci rosse parleranno loro, come Barbablù, di «cambio di sesso», di «transizione di genere» e di altre pestilenze.