Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:35 pm
Mi daranno dello sciacallo aggiungendo che manco di pietà, che mi divora il cinismo, che spregio il dolore, che disprezzo la compassione e che nemmeno davanti alla morte ho pudore. È invece vero proprio il contrario.
Ho letto di giornalisti famosi che hanno pianto, di uomini politici stretti nel cordoglio, di un Paese intero paralizzato dalla notizia della scomparsa di Raffaella Pelloni, in arte Carrà, soubrette trasgressiva come il pittore da cui trasse il nome d’arte. Si dice che in confronto a oggi le performance della Carrà fossero roba da educande. Bugie. Per l’epoca furono consapevolmente dirompenti.
Perché la Carrà è stata la peste della rivoluzione sessuale servita fredda sulle tavole degli italiani, smerciata à-porter nei mangiadischi dei piccoli, venduta nelle confezioni “prendi tre paghi due” dell’Italia del boom e del post–boom.
Le sue moine e i suoi gesti, i suoi abiti di scena e i testi delle sue canzoni che normalizzavano “il corpo della ragassa” e l’amore libero ottennero più di mille marce impegnate, di mille rivendicazioni intellettuali, di mille azioni politiche. Hanno fatto scuola, hanno tracciato la via, hanno anticipato il futuro. Soprattutto hanno fatto saltare una serratura. Con lei il sesso è uscito dalle camere dove doveva starsene per entrare nei soggiorni di un’Italia che ne è stata ribaltata. Non è stata l’aggressività violenta del porno a vincere la campagna d’Italia, bensì il suo sorriso impostato a conquistare l’Italia in vacanza in Riviera.
La Carrà ha contribuito in maniera mastodontica alla sessualizzazione del costume italiano grazie a quel modo da Strapaese che abbiamo di buttare ogni cosa in avanspettacolo e maccheroni. Il sabato sera la rimiravano, con gli occhi dell’uomo interiore fuori dalle orbite, l’italiano medio e la media degli italiani, i papà e le mamme, le nonne e i piccoli. Tutti hanno canticchiato «quel motivetto che mi piace tanto» sbarazzino e pesante:
Sono un cuore vagabondo che di regole non ne ha/ La mia vita è una roulette/ I miei numeri tu li sai/ Il mio corpo è una moquette… Com’è bello far l’amore da Trieste in giù/ Com’è bello far l’amore io son pronta e tu/ Tanti auguri/ A chi tanti amanti ha… Com’è bello far l’amore da Trieste in giù / L’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu/ E se ti lascia lo sai che si fa?/ Trovi un altro più bello/ Che problemi non ha
Perché nel Belpaese se lo dice in prima serata mamma RAI, se lo senti facendo la spesa al supermercato, allora va bene. Curve al prosciutto, cosce in insalata, deretani per guanciali, spaccate ginecologiche e seni compressi alla Gradisca. Non c’era alcun bisogno di sbattere tutto sullo schermo, fra la tivù dei ragazzi e i mezzibusti ingessati dei tiggì, a meno di non volere apposta uccidere la seduzione con la fordizzazione e addomesticare il desiderio con quella routine che ci ha tanto abituati allora da ripetere oggi “che male c’è”? Con la Carrà la contro-morale del Sessantotto ha avuto il proprio quarto d’ora di celebrità pop e le è bastato. Se la smettessimo di essere ipocriti avremmo il coraggio di dirlo, smettendo di inginocchiarci alla devastazione all’amatriciana.