Last updated on marzo 11th, 2021 at 01:44 pm
Ho combattuto ore e giorni il virus del “dico la mia”, ma ho perso. La corrente impetuosa del torrente impazzito che corre, invade, tracima, esonda e inonda televisioni, carta stampata e web mi ha trascinato via e i flutti hanno avuto la meglio. Parlerò dunque anch’io del Festival di Sanremo. Ma io il Festival di Sanremo lo difendo.
Cos’altro avrebbe potuto fare, infatti, la 71a edizione del Festival della canzone italiana di Sanremo se non trasmettere per ore e ore, in Quaresima, rozzezza, sguaiataggine, trivialità, scurrilità, volgarità, laidezza, promiscuità, travestitismo, transessualismo, blasfemia e bestemmia? C’è forse altro che circola e che conta nel nostro mondo di cui la televisione non può fare altro, per struttura e per vocazione, che essere lo specchio fedele?
La RAI è la televisione di Stato, pagata obbligatoriamente con il canone dei cittadini e offre quello che viene definito un servizio pubblico. A parte l’analfabetismo cronico di definire «pubblico» ciò che è statale (come se una tv finanziata con capitali privati non fosse fruibile pubblicamente e per di più senza esborso per gli spettatori), la RAI il proprio servizio lo fa in maniera eccellente. In realtà tutta la televisione lo fa, statale e non. Anzi, tutto il mondo della comunicazione, dello spettacolo, delle arti. Ritraggono impietosamente il mondo in cui vivono loro e viviamo tutti, ne rispecchiano i valori, ne indicano i princìpi e, se hanno talento, pure li anticipano, indicando il cammino.
Ebbene, la RAI rende un servizio pubblico da TV Award mescolando un po’ della sciatteria che vede in giro quotidianamente e un po’ di avanguardismo alla matriciana. Perché quello che trasmette lo abbiamo già visto e il nuovo che promette pure. L’Helter Skelter de’ noantri dei vincitori della 71a edizione di Sanremo lo vedo se attraverso la movida dei luoghi in della mia città nelle ore canoniche. La bestemmia cheap di quel tale che porta lo stesso nome di un defunto armatore arriva ultima, l’han già fatta tutti. La Scapigliatura da puerett di metà classifica scandalizza solo chi dorme all’umido. E i conduttori sono perfetti: giddap sulle natiche del cavallo di Viale Mazzini che trotta e galoppa, “venghino siori, il terzo giro è gratis”. A loro quale cavallo sia interessa poco, mica son pagati per chiederselo. Per tutto questo io il Festival di Sanremo lo difendo.
Io il Festival di Sanremo lo difendo perché non è diverso dalla televisione, qualsiasi canale, di tutti i giorni. Mettevi davanti al televisore un dì che non vi volete bene, dalle 9 alle 24. Guardate tutto, intrattenimento, spettacolo e varietà, non perdetevi le perle della pubblicità e ascoltate pure l’informazione. Rozzezza, sguaiataggine, trivialità, scurrilità, volgarità, laidezza, promiscuità, travestitismo, transessualismo, blasfemia e bestemmia: che differenza c’è?
L’intrattenimento è indottrinamento. Nella pubblicità manca solo il close-up dell’antro dove si infilano le supposte per curare l’influenza (perché il sangue mestruale sugli assorbenti c’è già). E l’informazione equivale alla recita sanremese dell’inviata questa volta invitata Giovanna Botteri da Pechino. Quelle sere che, per stanchezza, cedo alla tentazione di atti impuri e guardo un tiggì, mi pare di vivere su Marte. Perché il mio cellulare continua a vomitarmi addosso fotografie di autoblindo agli angoli delle città occupate dalla Cina comunista, storie raccapriccianti di eutanasia sui bambini, tragedie di aborti strazianti, violenze sui minori a cui si cambia chimicamente il sesso e invece il sorriso patinato dei mezzibusti bellimbusti mezzemaniche che ho davanti non batte mai ciglio?
Io il Festival di Sanremo lo difendo perché Sanremo è l’asset più importante della RAI, una gallina dalle uova d’oro a cui governi senza più opposizioni non possono rinunciare in un Paese di soviet e boiardi dove ancora esistono tre canali pagati obbligatoriamente dai cittadini, senza che questi abbiano più nemmeno la libertà di essere multati se non versano il canone, giacché un italico fior di statista che ringraziò i cinesi per i “loro compatrioti” Marco Polo e Matteo Ricci ce lo ha infilato nella bolletta della luce.
Io il Festival di Sanremo lo difendo perché fa quello che da diversi secoli fa il mondo in cui stiamo, guadagnando consensi a ogni giro di pista. Contesta, demolisce, vilipende, sporca, sputa e bestemmia l’uomo in ciò che lo rende tale: la sua natura intangibile, i suoi diritti inalienabili e la sua intimità più profonda, ovvero la sua sessualità binaria, il suo senso di ciò che è sacro (dalla famiglia alla cultura intesa come coltivazione dell’anima), la sua libertà religiosa.
I molti critici del Festival oggi, scandalizzati di quel che hanno visto e sentito la settimana scorsa, sono così intelligenti e seri da comprendere il senso della mia provocazione. Dico quindi loro che indignarsi serve solo a finanziare il Festival dell’anno venturo. Il Festival quest’anno, come gli anni scorsi, ci conta sulle polemiche, spera di scandalizzare il borghese. Dunque basta darsi di gomito in chat, leoni da tastiera. O cambiamo il mondo intero, oppure lamentarsi con il Festival è come prendersela con la cartiera per contestare i giornalini porno. E dunque cambiamo il mondo. Se qualche centinaio di migliaia di persone da domani, invece di scambiarsi messaggini, smettesse di pagare la luce per boicottare la RAI, portasse il proprio televisore in ricicleria o si incatenasse al cavallo di Viale Mazzini qualcosa inizierebbe.
E invece ci affanniamo a guardare ancora una volta il Festival per dormire sonni tranquilli avendo twittato nel letto le nostre intemerate. Giddap.
Image source: 59° Festival di Sanremo, photo by Luca Rossato from Flickr, licensed by CC BY-NC-ND 2.0
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