In Irlanda, a partire dal novembre 2018, i medici di base che acconsentano a seguire le donne che ricorrono all’aborto sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale 450 euro per ogni piccola vita soppressa.
«Nell’ambito della contrattazione concordata […] con l’Irish Medical Organization (IMO)», scriveva a ridosso dell’accordo il quotidiano con sede a Dublino The Irish Times, «i medici che accettano il nuovo contratto riceveranno un compenso totale di 450 euro per tre visite, composto da un pagamento di 150 € per coprire la consultazione iniziale con la paziente e ulteriori 300 € per l’espletamento della procedura di cessazione e l’erogazione dell’assistenza post-operatoria». Soldi facili per un lavoro sporco che, evidentemente, qualcuno vuole pur fare.
Per fortuna, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, «la stragrande maggioranza dei medici rimane però convintamente pro life», riportava il mese scorso anche «iFamNews». «L’88% si proclama infatti obiettore di coscienza, mentre la metà degli ospedali con reparto maternità non praticano l’aborto. Il restante 12% scarso di abortisti equivale, in termini assoluti, a 405 medici. I dati emergono da una ricerca pubblicata dal periodico Newstalk».
Pochi giorni fa è emerso però un altro dato, relativo questa volta alla cifra che viene corrisposta ai medesimi medici di base quando invece seguono una donna che, vivaddio, porti a termine la gravidanza e dia alla luce il proprio bambino. 250 euro. Solo 250 euro. Poco più della metà di quanto verrebbe rimborsato se quel bambino lo uccidessero, entro la dodicesima settimana di vita nel grembo materno e in casi eccezionali anche fino al sesto mese.
A voler essere precisi, poi, in questo secondo caso, quello di una gravidanza, le visite sono in media sette, non tre, e se la gestazione presentasse complicazioni se ne possono aggiungere altre. In più, vi è per il medico la responsabilità di due vite, quella della madre e quella del nascituro, gli esami e i controlli particolari da prescrivere, il sostegno anche psicologico alla donna, forse pure qualche telefonata in più quando capitassero ansie e spaventi talvolta esagerati che coinvolgono spesso, si sa, le mamme in attesa.
In realtà, leggendo sul quotidiano The Irish Independent, nella cronaca di Wexford, la testimonianza del medico che ha sollecitato la riflessione, la dottoressa Grainne Pinaqui, l’attenzione pare scivolare più sulle questioni organizzative e sulla difficile gestione del servizio di aborto dal punto di vista pratico, che non sul significato implicito nelle cifre che sono state snocciolate. In ogni caso l’Irlanda, in pratica, paga meglio un medico che uccida un bambino, invece di uno che lo faccia nascere.
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