La notizia è una “breve” tra le pieghe della cronaca di giovedì 17 febbraio, sul sito web di un quotidiano iberoamericano, The Rio Times. Latin America’s voice from Brazil, di Rio de Janeiro.
In Argentina un tribunale ha decretato che sia permesso a un ragazzino di tredici anni di «cambiare sesso» sul certificato di nascita, anche se con il consenso solamente del padre. La madre, infatti, non concorda con tale provvedimento. Tre vite, riassunte in poche righe.
Il ragazzino, biologicamente un maschio, si “autopercepisce” come femmina e tanto basta alla Corte per stabilire che i suoi documenti siano modificati, il suo nome cambiato, in relazione alla valutazione dei giudici per cui «[…] l’asse centrale dell’identità di genere ruota attorno all’esperienza personale del gender, a come ogni persona lo sente e lo vive interiormente». In base a tale valutazione, pertanto, «[…] il diritto all’identità di genere dei bambini e degli adolescenti impone ai giudici il dovere di considerare il loro migliore interesse come superiore ad altri interessi». Dicono proprio così, i giudici: best interest, espressione comodissima e famosa per prestarsi alle più varie e fantasiose interpretazioni, compresa quella per cui il bene di un bambino non sia stabilito dalla mamma e dal papà, più o meno in accordo, ma da un tribunale che uno di tali genitori esautora. Nulla esclude che, un domani, possa esautorarli entrambi.
Evidentemente tutto ciò avviene nel pieno rispetto della normativa del Paese in relazione alla «identità di genere», approvata nel 2012, la medesima legge che ha consentito al piccolo Manuel, nel 2013, di diventare Lulu, a soli 6 anni, perché, come affermava la madre Gabrielam, «gli piacciono le mie gonne e i capelli lunghi». La donna si è risolta a chiedere che il bambino fosse iscritto nei documenti come femminuccia dopo aver «[…] visto su National Geographic un programma sulle femmine transessuali americane. Fu in quel momento che capii che lui era una femmina trans». A sei anni. E a riprova di quanto influisca, e non solo sulle adolescenti, la “moda” trans indotta dai media e dal pensiero mainstream.
Occorre però che l’Argentina faccia attenzione a non esagerare con il “liberi tutti” sfrenato del balletto della gender identity, se non vuol rischiare fra l’altro la bancarotta per far fronte alla gestione del bilancio delle pensioni, che potrebbe presentare risvolti inaspettati. Nel 2018, per esempio, Sergio Lazarovich, un sessantenne che a detta dei colleghi ha sempre svolto la professione di funzionario delle imposte con poca passione, ha ben pensato di sfruttare l’occasione e ha «cambiato sesso», smettendo di lavorare e andando in pensione anticipata cinque anni prima di quanto fosse in suo diritto, cioè secondo le tempistiche riservate alle donne argentine. Lazarovich, divenuto «Sergia», ha approfittato della legge che consente ai transgender di «cambiare sesso» nei registri dello stato civile senza dover dimostrare di essersi sottoposti a operazione chirurgica o a terapia ormonale, suscitando «l’indignazione di connazionali e autorità locali. Matías Assennato, direttore del registro civile della provincia di Salta [dove risiede Lazarovich] ha tuonato: “Si tratta di un chiaro caso di abuso dei diritti dei pensionati e della legge sull’identità di genere. Tuttavia sarà difficile provare che si tratti di illecito”».
Dell’abuso perpetrato dall’ideologia gender su un bambino di sei anni o su un ragazzino di 13, invece, non si scandalizza nessuno.
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