Non è un Paese per donne, l’Afghanistan, specialmente da quando, in agosto, i talebani hanno ripreso Kabul dopo l’esodo delle truppe statunitensi e occidentali iniziato in maggio.
Le regole si sono addirittura inasprite rispetto a quando, negli anni 1990, gli stessi talebani erano al potere: migliaia di donne non hanno più il diritto di frequentare la scuola, di praticare sport, di uscire di casa senza un uomo della famiglia che le accompagni, di lavorare.
Ritorna d’attualità, quindi, un fenomeno che pur limitato era già presente nella società afghana, quello delle bacha posh, in persiano بچه پوش, che si può tradurre letteralmente con «vestita come un ragazzo». Specialmente nelle famiglie più povere, se non è presente un figlio maschio, con la complicità dei genitori alcune bambine vengono chiamate in pubblico con un nome maschile, tengono i capelli corti, si vestono come maschietti e possono così rubare qualche anno di “normalità”. Possono cioè andare a scuola, usare la bicicletta, giocare a pallone e aiutare il padre con qualche lavoretto. I talebani probabilmente sanno, e fingono di non sapere, considerato che si tratta comunque di una fase solo temporanea.
È il caso di Sanam, chiamata con il nome maschile di «Omid», occhi grandi e mobili e una zazzera corta e scura. L‘Associated Press ne ha raccontato la vicenda, ripresa in Italia da Il Foglio, in un servizio dalle immagini toccanti che anche il TG1 ha rilanciato nella puntata di sabato alle ore 20.
Si tratta di una parentesi breve, però, poiché con il sopraggiungere della pubertà i tratti femminili diventano sempre più difficili da mascherare e le ragazze tornano dietro le sbarre della prigione in cui saranno costrette a vivere per il resto della loro esistenza. Lo racconta Najieh, 34 anni, quattro figli, che da bambina è stata una bacha posh e rimpiange amaramente la possibilità negatale di studiare e di diventare insegnante.
Vite e vicende dure, dolorose, nulla a che vedere con i capricci à la Shiloh, figlia di Angelina Jolie e Brad Pitt, che per alcuni anni ha preteso di essere chiamata John ed è stata esibita dai celebri genitori, attori hollywoodiani, come esempio di libertà, anticonformismo, accettazione di sé e via di questo passo, fra gli osanna dei media internazionali. Shiloh oggi ha 16 anni ed è riapparsa in pubblico sfoggiando la propria identità femminile, per altro di grande bellezza.
Shiloh Jolie Pitt sarebbe (o almeno sarebbe stata) un caso di gender variant. «Persone la cui modalità di espressione del genere differisce da ciò che ci si aspetterebbe in base al loro sesso biologico», spiega il professor Paolo Valerio, presidente dell’Osservatorio nazionale identità di genere (ONIG). «Sono infelici nel percepire la propria identità come incongrua rispetto al corpo, manifestano il desiderio di essere riconosciuti come appartenenti all’altro genere e mostrano perciò spesso preferenza per vestiti, giocattoli e amicizie del genere opposto».
Non stupisce che in un’età difficile come la preadolescenza e l’adolescenza, in un contesto familiare e sociale sempre più fluido e scivoloso, i ragazzini cerchino di riaffermare un potere che dia loro sicurezza esercitandolo sull’unica cosa di cui possono in qualche modo disporre, il corpo. Sono gli adulti, allora, che dovrebbero mantenere diritta la barra del timone, senza cedere a contentini paternalistici sul genere dei bagni gender free o delle carriere alias nelle scuole. Ciò che proprio non funziona, piuttosto, è etichettare facilmente un disagio di questo tipo con il cartellino posticcio della disforia di genere, e magari iniziare bombardamenti ormonali (o peggio) che accompagnino alla transizione chi, in realtà, è solo, semplicemente, confuso. E il caso ormai celebre di Keira Bell lo dimostra.