Imperialismo gender americano

Il Dipartimento di Stato USA impone al mondo l'uso di pronomi LGBT+. Fa niente se in politica estera ha fallito

USA LGBT+

Last updated on Ottobre 28th, 2021 at 05:31 am

Una politica fallimentare in Afghanistan, che ha causato l’esodo di centinaia di migliaia di profughi in fuga da un regime terrorista, lo spreco tragico di migliaia di vite e il dilapidamento di migliaia di miliardi di dollari statunitensi lungo vent’anni.

Una politica fallimentare in America Centrale e nei Caraibi, che ha spinto milioni di persone ad attraversare illegalmente i confini degli Stati Uniti d’America.

Una politica fallimentare verso la Cina, che ha incoraggiato Pechino a sfidare gli Stati Uniti testando un missile ipersonico che altera gli equilibri.

Con tutti questi e altri fallimenti in politica estera, di cosa si sta occupando adesso il Dipartimento di Stato americano? Ma naturalmente di sostenere la «Giornata internazionale dei pronomi».

“Cosa, cosa?…”, ci si chiederà. Ma è proprio così. Del resto l’Amministrazione Biden sta semplicemente agendo coerentemente con l’annunciata intenzione di volersi concentrare completamente sul sostegno all’ideologia woke invece che concentrarsi sui problemi veri del Paese.

Ora, il radicalismo LGBT+ ha scelto il 20 ottobre come «Giornata internazionale dei pronomi» cercando di imporla, da qui all’eternità, a chi invece si oppone alla sua agenda di tono neo-marxista. Certo, la data è passata, e pochi se ne sono accorti. Ma è stato un inizio preoccupante, foriero di preoccupazioni per il mondo intero, e per questo vale la pena parlarne ancora.

È infatti l’ennesimo tentativo fatto per costringere le persone sane di mente a usare pronomi folli: «lei/lui» per riferirsi ai maschi «che si identificano come femmine», «lui/lei» per le donne che «si identificano come maschi» e «loro al maschile/loro al femminile» per i single che non si identificano con alcun sesso o che si dicono «gender-fluid».

Ebbene, questo radicalismo è riuscito per certo a conquistare l’Amministrazione Biden, come dimostra il Dipartimento di Stato, che non vedeva l’ora di twittare il proprio appoggio.

Nell’articolo linkato al tweet del Dipartimento di Stato si legge: «Negli Stati Uniti sta diventando sempre più comune che le persone “condividano i propri pronomi” […]. I pronomi includono il genere neutro “they/them/theirs”, termini plurali, ma oggi usati da chi si identifica di genere “non-binario” o da chi preferisce non far sapare a quale sesso appartenga. Ci sono poi il femminile “she/her/hers” e il maschile “he/him/his”. Esistono anche i pionieri dei neutri come “ze/zir/zirs”. […] Conoscere e usare i pronomi degli altri evita di dare accidentalmente per scontato il genere basandosi sul nome o sull’aspetto».

L’articolo continua affermando che «il Dipartimento di Stato ha annunciato, il 30 giugno, la messa in circolazione di moduli per i passaporti che permetteranno ai richiedenti di scegliere il genere maschile o femminile indipendentemente da ciò che indicano altri documenti, arrivando fino a un modello che includerà un’opzione per le persone non binarie, intersessuali e non conformi». Forse un giorno il Dipartimento di Stato penserà magari di permettere persino che le persone scrivano date di nascita diverse da quelle presenti sui certificati di nascita e di usare foto di come le persone “si vedano” o vorrebbero apparire, con enorme gradimento, ovvio, dei terroristi.

Nessuna paura, quindi, per i fallimenti totalizzati dall’Amministarzione Biden in politica estera. Niente preoccupazioni per il fiasco in Afghanistan, per la crisi che preme alle frontiere statunitensi o per la Cina che cerca di dominare il mondo. Il Dipartimento di Stato tiene tutto sotto controllo, assicurandosi che nel mondo tutti adoperino non i pronomi basati sulla realtà, quanto piuttosto sulle opinioni soggettive di ciascuno. Ora possiamo dormire tutti sonni più tranquilli.

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